Siamo a metà del percorso dell’Agenda 2030, partito nel 2015, e che indica 17 obiettivi di sviluppo sostenibile da raggiungere nel 2030. Con differenze e disomogeneità, i risultati raggiunti non sono incoraggianti. Da qui l’idea di rilanciare gli obiettivi grazie alla cittadinanza attiva
L’Agenda 2030 è un piano di azione sottoscritto da 193 Paesi delle Nazioni Unite, tra cui l’Italia. Vi sono indicati 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese) da raggiungere entro il 2030, articolati in 169 target. L’idea sottesa è quella di monitorare il processo di cambiamento necessario, quindi goal, target e oltre 240 indicatori.
Ogni Paese viene valutato periodicamente dall’Onu e dall’opinione pubblica in merito ai risultati raggiunti. Uno degli elementi di novità che l’Agenda porta con sé è il giudizio di insostenibilità del modello di sviluppo prevalente, sotto il profilo economico, ambientale e sociale. Queste tre dimensioni, infatti, sono strettamente correlate nei goal e target dell’Agenda, affermandone quindi la forte integrazione.
Alla base dell’Agenda c’è la convinzione che nessun obiettivo possa essere raggiunto in modo indipendente, ma piuttosto secondo un approccio che tenga conto di tutte le interrelazioni, consentendo così la crescita integrata di tutte e tre le componenti.
Tutti i Paesi sono chiamati a contribuire alla sfida di cambiare i modelli di crescita lasciando spazio a scelte sostenibili, attraverso la definizione di una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli SDGs e di rendicontare i propri risultati all’Onu. Accanto ai governi dei Paesi anche tutte le componenti della società sono chiamate a fare la propria parte: imprese, pubblica amministrazione, società civile, università, media …