Attraverso i libri ci conosciamo di più

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Il nostro sommo poeta Dante Alighieri, così come Alessandro Manzoni, sono stati trasformati
dalle politiche scolastiche e da non pochi prof (pigri) in un “dovere”

Una vocina mi dice che non dovrei affrontare questo argomento, ma arriva l’estate, con i suoi consigli di lettura, e come lettore rivendico il diritto di sostenere, per esempio, che il celebratissimo Piccolo Principe mi ha causato sin da subito un attacco di sbadigli. E ricordo che Indro Montanelli, a chi gli chiedeva che cosa pensasse di Proust e del «tempo perduto», rispondeva: «’Un s’ebbe mai tempo di leggerlo».
L’acuto Daniel Pennac, che ama veramente i libri, ne ha letti tantissimi e ne ha scritti il giusto (Malaussene, che bel personaggio), è stato tra i primi a sostenere che il lettore può “abbandonare” quando gli pare ciò che non gli piace (“Vuolsi così colà…”). Il libro non è un dovere. Il nostro sommo Dante, come Alessandro Manzoni, sono stati trasformati dalle politiche scolastiche e da non pochi prof (pigri) in un “dovere”. Ora, le frasi di entrambi hanno attraversato i secoli, i confini e ogni spazio. Ci sarà una ragione? L’immortalità dello scrittore è il sogno di ogni scrittorino, il recupero dell’autore dimenticato, da “riscoprire”, il sogno di ogni editor. Più modestamente, il sogno di ogni lettore, è “sintonizzarsi” con le pagine che ha aperto e da lì cominciare il suo viaggio, forse per distrarsi, forse per cambiare. Senza Il maestro e Margherita non avrei mai scelto di fare il giornalista da ragazzino. Ormai sono, come dice mio figlio, che non vuol chiamarmi anziano, un adultone.
Fosse per me, e lo dico sapendo che questo discorso non piacerà, sostituirei nelle scuole I promessi sposi con Il gattopardo: e cioè dall’epopea lombarda degli abusi, dell’amore e della Provvidenza, dai don Rodrigo e don Abbondio, passerei al principe di Salina e al mezzogiorno dove non cambia mai niente. Sbaglio? Non essendo Ministro dell’Istruzione, ma lettore, mi permetto di dirlo e se fossi un prof di liceo, accanto all’obbligatorio Manzoni, renderei obbligatorio nelle letture estive Tomasi di Lampedusa.
Che cosa ci spinge ad amare alcuni libri e a non apprezzare altri, magari celebrati? Probabilmente noi stessi, cioè attraverso i libri ci conosciamo di più.
Tornando al Piccolo Principe, non ci ho trovato tanti motivi per restare incollato alle pagine e, sinceramente, non immagino di andarlo a rileggere. Poi, se avrò nipotini, se sarò vivo, se saprò ancora leggere, se mi sarà richiesto, magari potrei leggere ad alta voce le pagine di Antoine de Saint-Exupéry. Dovrei sforzami molto per condividere l’idea che “Ciò che rende bello il deserto è che da qualche parte vi è nascosto un pozzo”. Perché no. Ciò che per me rende bello il deserto, più banalmente, è la sua somiglianza con il mare, con l’aggiunta dell’assenza di rumore e con la possibilità di avere una guida in carne ed ossa. Del pozzo, che non saprò trovare, non so che farmene: anzi, che sia nascosto da qualche parte è pessimo, non ho nemmeno un secchio, ho caldo, mi sento stanco. Magari subisco l’influsso dei film di Sergio Leone. Un miraggio, forse? Ecco Eli Wallach, che corre in modo strambo e dice con un tono duro: «Sto cercando un mezzo sigaro, con dietro la faccia di un gran figlio di cagna alto, biondo e che parla poco». E no, non mi pare proprio che sia il Piccolo Principe quello che “il brutto” cerca. Cerca infatti quello soprannominato “il buono”.
Noi cerchiamo “il buono”, ma anche “il cattivo” nelle nostre letture e ci spiace moltissimo perché sempre meno gente legge, quindi sempre meno gente capisce, quindi sempre meno gente ha le capacità di restare democratica, razionale, appassionata. Noi che leggiamo, restiamo concentrati. Sappiamo fare un discorso. Provate a ragionare con chi si vanta di non leggere mai niente.

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