Gioele è stato definito dai medici come un ragazzo autistico a medio/alto funzionamento. Questo vuol dire che può essere autonomo, che sviluppa il linguaggio verbale, che sa leggere e scrivere. E disegnare. Senza l’aiuto e l’impegno dei genitori per lui ben poche strade sarebbero aperte. Ne è nato un progetto
«La storia che vi raccontiamo è quella di una famiglia di cinque persone al cui interno c’è anche Gioele che ha 18 anni ed è un ragazzo con sindrome autistica. Nella famiglia di Gioele c’è Daniela, la mamma, 52 anni, Giuseppe, il padre, che di anni ne ha 56, Marta la primogenita, 22 anni, e il terzo figlio, Davide, 16 anni.
Gioele è stato definito dai medici come un ragazzo autistico a medio/alto funzionamento. Questo termine tecnico – con il quale qualsiasi famiglia al cui interno c’è un figlio autistico deve fare i conti per capire come strutturare la quotidianità – ha un significato preciso: vuol dire che il soggetto non presenta disturbi che gli impediscono di essere autonomo, di sviluppare il linguaggio verbale, di leggere e scrivere. Significa, inoltre, che non è presente disabilità intellettiva. Gioele frequenta il quarto anno dell’Istituto professionale Kandinsky, nel dipartimento di grafica, nel quartiere Gratosoglio, alla periferia sud di Milano.
Quando ci siamo incontrati, Daniela e Giuseppe – che si alterneranno nelle risposte – mi hanno istruita su come interagire con il figlio. È un fatto naturale per loro metterti in mano le chiavi di accesso per comunicare con lui. Per coloro che rientrano nello spettro autistico, l’interazione con il mondo esterno non segue le regole comuni. E se ti relazioni con il loro mondo devi saperlo, semplicemente. Altrimenti ti trovi di fronte un muro invalicabile.