Batul e la piccola Sana hanno trovato casa a Camini, in Calabria

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Quegli occhi erano pieni di spavento quando i medici dell’ospedale di Locri, che avevano curato Batul e la sua bambina dopo il parto avventuroso e il salvataggio in mare, le hanno affidate agli operatori di Casa Mamma Giulia, associazione di Camini

È venuta al mondo nel Mediterraneo in tempesta, su un vecchio peschereccio alla deriva. La sua prima culla è stato il giaccone di un migrante, naufrago come lei. Avvolta in quel giaccone, è stata sbarcata in Calabria dagli uomini della Guardia Costiera. E lì ha trovato casa, in un piccolo paese di collina, dal nome che evoca il calore del focolare: Camini. Nel centro storico, la piccola Sana (nome che, in siriano, significa Splendore) è arrivata ai primi di dicembre, tra le braccia di sua madre, Batul, una ventiquattrenne minuta, con un’aria da ragazzina e grandi occhi che spiccano nella carnagione chiara del viso.
Quegli occhi erano pieni di spavento quando i medici dell’ospedale di Locri, che avevano curato Batul e la sua bambina dopo il parto avventuroso e il salvataggio in mare, le hanno affidate agli operatori di Casa Mamma Giulia, associazione di Camini che si occupa dell’accoglienza dei migranti. «Era in ansia per il suo figlio più grande, un bambino di due anni, e per suo fratello, che erano in viaggio con lei», racconta Giulia Passarelli, presidente dell’associazione. «Poi l’abbiamo fatta parlare con l’interprete di siriano e si è rasserenata».
Arrivati con Batul e altri 240 profughi su un peschereccio partito dalla Turchia, soccorso in mare a fine novembre al largo della costa calabrese, il fratello e il figlio della donna, risultati positivi ai test Covid, erano stati condotti a Palermo, in un albergo per la quarantena. Ai primi di gennaio la famiglia si è riunita a Camini. «È stato bello poterli far abbracciare tutti» dice il sindaco, Giuseppe Alfarano.
Nel paese che ha poco meno di 800 abitanti, a tre chilometri da Riace, Batul e la piccola Sana non sono certo le prime profughe dalla Siria. Fra il centinaio di stranieri che il borgo ospita, grazie a un progetto Sprar avviato nel 2011, molti vengono dal martoriato Paese mediorientale che, dopo dieci anni di una guerra civile costata mezzo milione di morti, conta – secondo le Nazioni Unite – 13 milioni tra profughi e sfollati interni. «I primi 44 siriani li accogliemmo nel 2015» ricorda il sindaco, che ha appena ricevuto un premio per l’innovazione sociale. A Camini alcuni di quei profughi hanno messo radici. Tanto che, al primo esplodere della pandemia, proprio dalle donne siriane rifugiate su questa collina venne l’offerta di confezionare e donare migliaia di mascherine.
Gesti di solidarietà che il paese ricambia. Alla vigilia di Natale una delegazione della Guardia Costiera si è presentata a casa di Batul per portare qualche dono alla piccola Sana. «È una storia cominciata come una favola di Natale – commenta il sindaco – e io mi auguro che questa bambina e la sua famiglia possano trovare in questo paese, che sta rinascendo, la serenità e la dolcezza di cui hanno bisogno».
A Giulia Passarelli, Batul ha confidato che la sua famiglia e quella del marito, medico, sono rifugiate in Germania. E sarà quello, forse, il Paese in cui la piccola Sana andrà a vivere. È strano pensare che questa creatura, venuta al mondo in Italia, se dovesse fermarsi qui, resterebbe straniera almeno fino ai diciott’anni, se il Parlamento non modificherà la legge sulla cittadinanza. Chi sa che il calore sprigionato dalla piccola comunità di Camini non scaldi il cuore di chi può e deve cambiare le regole.

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