Chi parla per slogan avvelena la politica

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Bolsonaro e Trump sono, e torniamo indietro anche sino ad Aristotele, quelli che usano il popolo per imporre – dicevano gli antichi – la tirannide, il potere assoluto del capo, oppure l’oligarchia, il potere in mano ai presunti migliori, ai pochi, a chi lo sa usare (autoreferenziale)

Democrazia rappresentativa. Vorrebbe dire che il popolo vota i suoi rappresentanti, che entrano in Parlamento (potere legislativo) e formeranno il Governo (potere esecutivo), lasciando ad altri (ad esempio, al potere giudiziario) i compiti di controllo e verifica, o (forze di polizia) l’uso legale della violenza di Stato sul cittadino (arrestare, fermare, identificare).
Il discorso sarebbe più lungo, ma per capirsi basta questo. Ora, Donald Trump in America (miliardario con vari interessi nel mondo) e Jair Bolsonaro (ex artigliere e parà di carriera, mentre il Brasile era sotto la giunta militare) in quale democrazia credono? Anzi, credono nella democrazia?
La domanda può riguardarci molto più da vicino di quanto immaginiamo oggi. Una volta, la sommossa non partiva da chi aveva il potere, ma da chi non ce l’aveva. Se non andiamo lontano nel tempo, e torniamo in Italia, dopo la Prima guerra mondiale i fascisti cominciano come forza di opposizione e, anno dopo anno, si allargano. Se guardiamo gli anni ’70 del secolo scorso, sono i giovani delle grandi città che scendono in piazza, per rivendicare più diritti (da sinistra) o più autorità (da destra). Se guardiamo al più recente vaffa di Beppe Grillo, l’idea era di aprire il Parlamento come una scatoletta (e ognuno valuti il risultato raggiunto).
Cioè, ci si può opporre, si può lottare per cambiare il mondo, come no? E che la rivoluzione non sia un pranzo di gala lo sanno tutti. Ci si prendono rischi, si va in carcere, si subiscono conseguenze catastrofiche: basta guardare all’Iran e alle sacrosante rivendicazioni di libertà dei giovani, che resistono e marciano nonostante vengano massacrati da una polizia che sembra uscire da un romanzo distopico, alla Philip Dick, ed è invece tragica realtà. Gente come Trump e Bolsonaro, che avevano il potere e ne sono stati disarcionati dal voto, e che arringano i loro sostenitori con i potenti mezzi dei media e dei social, però non sono “il popolo”. Questo è il grande equivoco, alimentato ad arte. Sono, e torniamo indietro anche sino ad Aristotele, quelli che usano il popolo per imporre – dicevano gli antichi – la tirannide, il potere assoluto del capo, oppure l’oligarchia, il potere in mano ai presunti migliori, ai pochi, a chi lo sa usare (autoreferenziale).
Trump e Bolsonaro, che vorrebbero tornare al potere, ne sono degni? Ne sono degni di una democrazia rappresentativa? Oppure, per quanto hanno fatto, dovrebbero essere espulsi (potere giudiziario) da una competizione elettorale onesta? Cioè, noi ci accaniamo per dare il Daspo (e cioè il divieto di frequentare gli stadi) ai tifosi che si pestano sugli spalti o in autogrill, e non lo diamo ai politici, ai corrotti, ai collusi con il crimine, a chi invoca il popolo non per il legittimo voto, ma per usarne la rabbia, il manganello, l’assalto, la crassa ignoranza che non tiene conto del diritto, della scienza, della storia?
Bolsonaro e Trump, con i loro comportamenti dopo la sconfitta elettorale, testimoniano che oggi la politica è così screditata ovunque nel mondo da mettere a rischio (serio) quella che era stata ed è la democrazia rappresentativa. Viceversa, le ragazze e i ragazzi iraniani ci dicono una cosa, che già diceva Alessandro Manzoni a proposito di don Abbondio: chi non ha il coraggio, non se lo può dare. Quei giovani hanno coraggio da vendere; chi ha assaltato le istituzioni di Brasilia (questo gennaio), o Capitol Hill (gennaio ’21), ha svenduto se stesso al potere che vuole perpetuarsi nonostante il voto.
C’è piazza e piazza, c’è protesta e protesta. E per capirne le sostanziali differenze non basta l’informazione raffazzonata che arriva (e riparte) da chi non legge niente di più di qualche post sui social.
Chi parla per slogan sta avvelenando la politica nel mondo.

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