Il giornalista che conosce il mestiere è come un contadino che conosce bene il suo campo, che conosce gli alberi di mele e quando la mela è matura, e cade, lui è pronto a raccoglierla, sperando che gli altri contadini non se ne siano accorti. La mela è essenziale, la mela fa la differenza
Ogni volta che accade qualche cosa, in una qualunque città, si riscopre l’Abc del giornalismo. Che, in estrema sintesi, è giornalismo “in presenza”. Faccio un salto nel tempo e nello spazio. Qualcuno ricorda l’operazione che ha portato alla morte di Osama Bin Laden. Era segretissima, finché su un social un ragazzo ha cominciato a scrivere, con stupore frasi come: «Ho sentito un botto tremendo», «Pare che sia caduto un elicottero americano», «Forse c’entra Bin Laden». E così la “notizia” è emersa. Lo scoop. Ma poi serviva andare a vedere, cercare di capire, ricostruire. Torniamo a Milano e nel quartiere San Siro. Due giovani rapper convocano via social i ragazzi del quartiere per un video. Ma c’è il Covid, gli assembramenti sono vietati. Arrivano Polizia e Carabinieri. Inizia una sassaiola, una rissa, con immagini postate sui social. Meno di una settimana dopo, la polizia torna: tredici perquisizioni. L’unico che fa un video è un rapper, che gioca alla play station mentre i poliziotti guardano nei cassetti. Un’ostentazione di tranquillità e menefreghismo. Ma, nel quartiere che sembrava, ma solo nella mente dei teorici della Politica della paura, sfuggito di mano, nessuna rivolta, nessuna protesta. Ognuno s’è fatto i fatto suoi. I giovani perquisiti sono rimasti giovani perquisiti. Non martiri, non simboli, non micce di conflitti sociali. Tutto questo non lo sappiamo dai tweet, da Facebook, da Youtube: lo sappiamo da chi, armato di scarpe, strumento per prendere appunti, occhi, orecchie e cuore, è andato a verificare che cosa facesse lo Stato, che cosa facessero gli abitanti del quartiere.
Moltissimi continuano a buttare immondizia su qualsiasi cosa, ma il giornalismo ben fatto è ancora essenziale nella democrazia. Non è vero che nella cronaca “uno vale uno”: per formare un cronista ci vogliono anni di esperienza, di correzioni e suggerimenti che qualcuno più vecchio ha fornito; ci vogliono tantissimi articoli letti, a cominciare da quelli dei concorrenti e dei giornalisti più bravi; ci vogliono i dubbi e le fonti indispensabili a fugarli. Il giornalista che conosce il mestiere è come un contadino che conosce bene il suo campo, che conosce gli alberi di mele e quando la mela è matura, e cade, lui è pronto a raccoglierla, sperando che gli altri contadini non se ne siano accorti. La mela è essenziale, la mela fa la differenza.
Forse la fa meno oggi, con i social: tantissimi copiano le notizie, molti lo fanno meschinamente, vivono senza fonti, senza verifiche, basta loro rilanciare notizie di altri. Aggiungendo commenti, fantasie, dettagli senza verifica. Mangiano e sputano pezzi di mela che non hanno raccolto. Ed è questa avanzata di avanzi che confonde sempre di più i lettori ed è il concime delle fake news.
Ai giornalisti (a quelli veri) non importa: ai giornalisti veri – brontolando, maledicendo i colleghi e finti colleghi copioni e i disinformati da tastiera, protestando contro i “capi” che non li capiscono e con gli orari massacranti – tocca ancora uscire, con le scarpe e il taccuino, e cercare di sapere com’è andata davvero. In strada, non dietro lo schermo di un video. Facendo domande e cercando risposte, non accontentandosi di qualche frase affidata ai social. Il giornalista cerca la sua mela. E c’è un perché: risiede nel fatto che molti lettori capiscono chi lavora e chi no, si affezionano ad alcuni media e non ad altri, apprezzano alcuni giornalisti e non altri. Esiste, nonostante le polemiche, le arroganze, l’egolatria da talk show, una cosa molto semplice: la credibilità. Se non ci fosse questa credibilità di fondo, comprereste Scarp de’ tenis? Forse sì, per aiutare i venditori, ma se fosse fatto male, lo comprereste ancora? Se lo comprate ogni volta che lo vedete, è perché sapete che viene fatto al meglio, che è credibile, che funziona. La credibilità del giornalista aiuta il mercato degli editori, ogni tanto va ricordato. Perché c’è grande soddisfazione, quando la mela cade nelle mani giuste.