Crisi climatica mezzo mondo (per ora) se ne frega

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L’Onu ha chiesto a tutti i Paesi di indicare i propri impegni per la salvaguardia del Pianeta e per contenere l’innalzamento della temperatura a 1,5 gradi centigradi. Risposte? Poche, soprattutto da chi inquina di più

Se si vuole comprendere quale sia il reale grado di consapevolezza sulla gravità della crisi climatica da parte dei Governi di tutto il mondo, è utile porre attenzione ad una serie di procedure formali che gli stessi esecutivi sono stati chiamati ad effettuare.
Per farlo occorre però fare un passo indietro di alcuni anni. Prima della ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop 21, al termine della quale è stato raggiunto l’Accordo di Parigi, ai Governi di tutto il mondo fu posta una domanda. L’Unfccc, la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, chiese di presentare la documentazione dove fosse dettagliato cosa ciascuna Nazione intendesse fare per ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra (sono queste ultime, infatti, le principali responsabili del riscaldamento globale). Quei documenti si chiamano Ndc: Nationally Determined Contributions.
Mentre nel dicembre del 2015 i complessi negoziati, che portarono al raggiungimento dell’Accordo, erano ancora in pieno svolgimento, non si sapeva con certezza quanto valessero quelle promesse. Ciascun Governo, infatti, aveva indicato i propri impegni in modo del tutto autonomo: ci fu chi propose un taglio del 28%, rispetto ai livelli del 1990, da ottenere entro il 2025 e chi del 40%, ma entro il 2030 e rispetto ai valori del 2005. Benché già all’epoca il Governo della Nazione ospitante, la Francia, avesse avvertito che fossero probabilmente insufficienti, per un’analisi più precisa sono stati necessari alcuni anni. Ad effettuarla è stato Unep, il Programma ambientale delle Nazioni Unite, in un rapporto dal titolo: Emission Gap pubblicato nel 2017. Le promesse avanzate nel 2015 dai Governi porteranno – diceva il documento – ad un aumento della temperatura media globale, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, di 3,2 gradi centigradi. Ovvero molto di più di quanto indicato dallo stesso Accordo di Parigi, che ha fissato un limite massimo di 2 gradi, ma ha anche chiesto di «rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi».


La calotta glaciale fusa
La ragione di quest’ultima precisazione è stata spiegata a chiare lettere in un altro rapporto, pubblicato stavolta dall’Ipcc, Intergovernamental Panel on Climate Change. Il documento Special Report 1.5, ha mostrato qual è la differenza che ci si può attendere tra 1,5 e 2 gradi, proponendo numerosi esempi. Uno fra tutti può far comprendere facilmente la distanza abissale che porta con sé quel mezzo grado centigrado: con 1,5 gradi possiamo attenderci estati con la calotta glaciale artica completamente fusa una volta ogni secolo; con 2 gradi il fenomeno potrebbe prodursi addirittura una volta ogni decennio.
Non è perciò difficile comprendere cosa accadrebbe se la temperatura media globale dovesse crescere di 3,2 gradi nel 2100. È per questo che la stessa Unfccc ha inviato ai Governi la richiesta di presentare nuovi Ndc: nuove promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra che, stavolta, dovrebbero essere molto più ambiziose. La scadenza per l’invio era stata fissata al 31 dicembre del 2020. Ebbene, a tale data soltanto 75 Nazioni, su un totale di circa 200, lo hanno fatto. Hanno risposto “presente” gli Stati membri dell’Unione europea, così come il Regno Unito e numerose piccole Nazioni che rischiano catastrofi a causa dei cambiamenti climatici (se non addirittura la loro scomparsa, come nel caso di alcuni atolli del Pacifico che verrebbero cancellati dalle carte geografiche a causa dell’innalzamento degli oceani). Ma non hanno presentato nuovi Ndc gli Stati Uniti, la Cina, l’India, il Giappone, l’Australia, l’Arabia Saudita, il Brasile. Ovvero le Nazioni che emettono la maggior parte dei gas climalteranti.
Il 26 febbraio di quest’anno, l’Onu ha in ogni caso pubblicato una prima valutazione dei nuovi Ndc ricevuti. E i risultati indicano che anche stavolta si tratta di promesse insufficienti. Benché infatti la maggior parte delle Nazioni abbia incrementato le misure, l’impatto combinato garantirà nel 2030 una riduzione di appena l’1% delle emissioni globali, rispetto ai livelli del 2010. Se si vorrà centrare l’obiettivo degli 1,5 gradi, invece, la riduzione dovrebbe essere di circa il 45%. Al di là delle belle parole, dunque, gli impegni dei Governi sono ancora anni luce lontani da ciò che sarebbe necessario intraprendere. Senza dimenticare che si tratta, appunto, di promesse: le valutazioni delle Nazioni Unite partono dal presupposto che vengano rispettate. Ma non è detto che tutti i Governi lo facciano.
«Il 2021 è un anno decisivo per la crisi climatica – ha commentato il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres –. Questo rapporto dell’Unfccc rappresenta un campanello d’allarme per il Pianeta». Ma, prosegue il dirigente, «i piani di rilancio post Covid-19 rappresentano una possibilità per ricostruire le economie in modo più verde e più pulito». Se i programmi economici saranno infatti in grado di riorientare industria, mobilità, produzione di energia, si potrà al contempo centrare una ripresa e garantire una transizione ecologica.


Tante parole, pochi fatti
Come dichiarato senza mezzi termini da Guterres, la politica deve però «trasformare le parole in fatti». Fatti per i quali, secondo la segretaria esecutiva dell’Unfccc, Patricia Espinosa, non si può più aspettare: «Le decisioni per accelerare e allargare l’azione climatica – ha affermato – devono essere prese da subito». La prossima Conferenza mondiale sul clima, la Cop 26 prevista a novembre a Glasgow, rappresenterà davvero l’ultima spiaggia, dopo il clamoroso fallimento della Cop 25 del 2019. È da lì infatti che occorrerà ripartire per rendere operativo l’Accordo di Parigi. A patto che la comunità internazionale si muova in modo compatto: «Ringraziamo – ha aggiunto Espinosa – le Nazioni che hanno rispettato gli impegni assunti e hanno depositato i nuovi Ndc. Ma è ora che si mobilitino anche gli altri». Anche perché, come sottolineato dalla presidente dell’ultima Cop, Carolina Schmidt, «soltanto 2 dei 18 grandi emettitori di gas ad effetto serra, il Regno Unito e l’Unione europea, hanno presentato i documenti ambiziosi. Gli altri o hanno avanzato promesse di poco conto, oppure non le hanno avanzate affatto».
Patricia Espinosa ha fatto sapere che verrà pubblicato prima della Cop 26 un altro rapporto di valutazione. Nella speranza che, nel frattempo, il mondo abbia deciso di rispondere a quella che è stata definita come la più grave crisi che l’umanità abbia mai dovuto affrontare.

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