Cuore e coraggio da soli non bastano Per accogliere serve un abbraccio condiviso

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Non basta il cuore. L’accoglienza non è solo una attitudine degli animi nobili e generosi, non è solo un esercizio di solidarietà, non è solo un atto di eroismo. La storia di Delia, anzi Delia stessa, ci insegna che l’accoglienza è anzitutto una scelta di vita, una scelta razionale: considerata, valutata, condivisa. E poi abbracciata. Ecco, quando alla fine capisci che non puoi chiamarti fuori allora è lì che arrivano il cuore e tutto il resto in tuo soccorso.
E ti rendono forte nelle difficoltà, sorridente davanti alle fatiche, fiduciosa di fronte agli ostacoli. Cosi Delia e la sua famiglia hanno abbracciato, insieme ad una scelta, questi piccoli rimasti senza nessuno che accorresse per il loro pianto. Così la solidarietà diventa carne e lacrime, casa e cibo.
Nel libro Quanto pesa la luna? che ha scritto per i 30 anni della “sua” Fondazione Arché, altro luogo dove si fa casa per mamme e bambini, padre Giuseppe Bettoni si chiede cosa sia l’accoglienza e spiega che non esiste accoglienza se prima non c’è rispetto. Ha davvero ragione: se non parti dal presupposto che ogni essere umano meriti lo stesso rispetto, abbia la stessa dignità e lo stesso tuo diritto ad una esistenza piena, se non parti da lì non potrai accogliere. Poi serve la consapevolezza che il disagio dell’altro è anche un tuo problema e che non puoi chiuderti in casa, pensando che tutto il resto urla là fuori, mentre le rassicuranti mura domestiche e l’ovatta nella testa e nel cuore ti isolano da quelle richieste di aiuto. “La vera accoglienza – scrive Bettoni – implica un’apertura totale nei confronti dell’altro, il mettersi in discussione e porsi degli interrogativi cui trovare una risposta.
In questo modo il bagaglio di vissuto dell’altra si sommerà al nostro, dando vita ad un terzo bagaglio, una storia inedita che cambierà il nostro sguardo sul mondo. Nessun essere umano è così semplice da poter essere guardato da un punto di vista solo”. Imparare a guardare al bisogno dell’altro, che sia un bambino, un povero, uno straniero e chiunque sia vicino a noi, ci apre la mente e il cuore. E in una famiglia aperta all’accoglienza funziona così: una mamma sente un messaggio, mentre un papà si è già segnato il numero di quel contatto e una figlia chiede: «Ma in questa casa non arriva più nessuno?». L’accoglienza è apertura disinteressata, è il “farsi prossimo” insegnatoci dal cardinale Martini che muove la singola persona, la famiglia
e l’intera comunità. Alda Merini lo chiamava “abbraccio inutile”: ma noi ne siamo capaci?

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