Dall’Africa all’America Latina tutti in corsa per il litio

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Rappresenta uno dei componenti essenziali per la fabbricazione delle batterie. A giocare a favore del litio c’è anche, d’altra parte, la sua stessa natura. Si tratta di un metallo bianco molto leggero che si presta a molteplici utilizzi ed è facile da trasportare. Per questo molte aziende (e alcuni Paesi) stanno fiutando l’affare

Il litio rappresenta uno dei componenti essenziali per la fabbricazione delle batterie. Si tratta di un fatto noto poiché le pile a ioni di litio, che utilizziamo da decenni, sono le più diffuse. Ma esistono anche altri materiali catodici, come nel caso del litio-ferro-fosfato o del litio-nickel-manganese-cobalto.
Al di là dei tecnicismi, il punto è che questo elemento sta diventando sempre più strategico, poiché centrale per la transizione ecologica.
Nei trasporti, la necessità di sostituire i motori termici con quelli elettrici, già da tempo ha trainato il mercato delle batterie, ma lo stoccaggio di energia è cruciale anche per sopperire all’unico punto debole delle fonti rinnovabili: la loro intermittenza (il sole è presente soltanto di giorno e il vento non è continuo).
Non a caso il consumo mondiale di litio, che rappresentava un elemento di nicchia soltanto una quindicina di anni fa, è cresciuto, nel 2019, fino a raggiungere le 75 mila tonnellate. E potrebbe arrivare a 170-215 mila tonnellate da qui al 2035. Nel 2040, la domanda globale di litio, secondo quanto indicato dall’Agenzia internazionale per l’energia dovrebbe risultare oltre 40 volte superiore rispetto ai dati del 2020.


Il business del metallo
A giocare a favore del litio c’è anche, d’altra parte, la sua stessa natura. Si tratta di un metallo bianco molto leggero che si presta a molteplici utilizzi. È inoltre facile da trasportare. Per questo molte aziende (e alcune Nazioni) stanno fiutando l’affare, investendo massicciamente sull’estrazione di tale materia prima.
È il caso, in particolare, di alcuni Paesi dell’America Latina, in particolare Bolivia, Cile e Argentina. Ma anche di Australia e Cina. Così come della Repubblica Democratica del Congo, le cui autorità sperano di far diventare il loro Stato uno dei centri nevralgici del commercio globale di litio.
Il Paese africano, infatti, si ritiene possa ospitare le più grandi riserve inesplorate del mondo. E benché le esplorazioni del sottosuolo siano finora state effettuate soltanto per una decina di chilometri, è già stato accertato che si potranno estrarre almeno 132 milioni di tonnellate di litio.
Un valore che già consente al Congo di occupare il sesto posto nella classifica mondiale degli Stati più ricchi di tale metallo, posizione poco distante dall’Australia, che figura al quinto posto. Non a caso, è proprio un’azienda australiana, la Avz minerals, ad essere coinvolta in quello che è considerato, potenzialmente, il più grande giacimento di litio da roccia dura del mondo, nei pressi della città congolese di Manono, nella provincia sud-orientale di Tanganyika e a stendere un tappeto rosso alla Avz è stato Zoé Kabila, fratello dell’ex presidente Joseph, nonché deputato e governatore della provincia fino allo scorso mese di maggio.
Sul giacimento di Manono hanno puntato gli occhi anche altri colossi, a partire dal gruppo cinese Contemporary amperex technology Ltd, che punta ad investire almeno 240 milioni di dollari per avere una partecipazione del 24% nello sfruttamento del giacimento (cifra che potrebbe arrivare anche a superare i 400 milioni).
La società cinese è infatti uno dei leader mondiali della fabbricazione di batterie, la cui domanda potrebbe, entro il 2030, aumentare di 14 volte rispetto alle richieste odierne. Un altro gruppo interessato a partecipare all’affare è la canadese Tantalex resources. La Repubblica Democratica del Congo, dunque, potrebbe consolidare la propria posizione di “pozzo” della transizione ecologica, essendo già il primo produttore mondiale di cobalto e il quarto di rame.


Chi paga il conto?
Occorrerà però vigilare. Un’industria promettente e agevolata dalle risorse presenti sul territorio, che vuole battere la concorrenza e che è situata in una Nazione come quella africana potrebbe in breve tradursi in un tentativo di “correre” ad ogni costo. E il prezzo potrebbero pagarlo i lavoratori e la natura.
Un rapporto dell’organizzazione non governativa Global witness ha passato in rassegna 51 licenze concesse per la ricerca e lo sfruttamento del litio attorno alla città di Manono e ha concluso che la gestione è effettuata senza un’adeguata governance, soprattutto in termini di trasparenza, sia per quanto riguarda le ricadute sociali che per quelle ambientali. In particolare, secondo l’associazione esiste una mancanza di tracciabilità in seno alla filiera, che ad oggi non soddisfa gli standard richiesti per il trattamento di altri tipi di metalli e minerali.
Le sorti dell’Afghanistan
Il Congo non è tuttavia il solo Paese che spera di risollevare le proprie sorti grazie al litio. Secondo un’inchiesta del giornale americano Quartz, anche l’Afghanistan vorrebbe partecipare alla corsa. «Nel 2010 – spiega la testata statunitense – un memo interno del dipartimento americano della Difesa ha definito la Nazione asiatica “l’Arabia Saudita del litio”. Ciò dopo la scoperta, da parte di geologi statunitensi, di vasti giacimenti, il cui valore è stato stimato in almeno mille miliardi di dollari». All’epoca, a dare la notizia, era stato il New York Times.
Quartz ha aggiunto che i talebani, appena arrivati al governo, avrebbero avanzato proposte di accordi sia alla Russia che alla Cina e la decisione di Mosca e Pechino di non opporsi al ritorno al potere dei fondamentalisti islamici a Kabul, sarebbe dovuta anche alla volontà di partecipare allo sfruttamento minerario del territorio afgano. Sul quale avrebbero puntato gli occhi anche Turchia e Pakistan.

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