Dashiell Hammett: «Le cose appartengono a chi le desidera di più»

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La scrittura: svelta, ritmata, jazzistica. Moderna al punto da risultare brillante ancora oggi, una sorta di manuale prezioso per chi ci ha provato e ci prova, nel giornalismo come nella letteratura

Si chiamava Dashiell Hammett. Chi ha qualche annetto sul groppone conserva nei suoi confronti la gratitudine del lettore disposto a farsi rapire da personaggi ed atmosfere che svolazzano nelle fantasie degli adolescenti e per questo resistono. Tornano in circolo quando una regressione, un vento forte da evasione compare nei giorni cupi delle nostre esistenze. Scrittore, dunque, Non solo. Nato a Saint Mary, Maryland, il 27 maggio 1894. Racconti e romanzi, alcuni celebri anche grazie alle trasposizioni cinematografiche. Cito qualche titolo per rapida identificazione: Piombo e sangue (1929), Il falcone maltese (1930), La chiave di vetro (1931), L’uomo ombra (1934). Sono gialli, per dare una patente. Detective duri e puri per dare una svolta che verrà adottata da molti autori, Raymond Chandler in testa, per intensità, qualità e fortuna editoriale. La scrittura: svelta, ritmata, jazzistica. Moderna al punto da risultare brillante ancora oggi, una sorta di manuale prezioso per chi ci ha provato e ci prova, nel giornalismo come nella letteratura. Sì, ma qui abbiamo una figura singolarissima, retta e per questo memorabile. Era stato investigatore, si era arruolato nell’esercito durante la prima grande guerra, ammalandosi di tubercolosi. Tosse e alcol, a dirla tutta, un fardello che segnerà la sua vita intera. Al pari della persecuzione patita in quanto iscritto al Partito Comunista, un peccato capitale in quell’America da caccia alle streghe. Lo processarono, si rifiutò di consegnare i nomi di chi contribuiva alla causa, venne condannato ed emarginato. Niente più sceneggiature, programmi radio. Beni confiscati. Abbastanza da costringerlo ad una vita solitaria e poverissima. Cancro ai polmoni, ovviamente. Un tramonto progressivo. Morto in ospedale a New York il 10 gennaio 1961.
Al suo fianco una sola persona, la drammaturga Lilian Hellman, alla quale dobbiamo un magnifico struggente ritratto di Hammett, della sua riservatezza, della sua rettitudine, della sua luminosa dignità. Il racconto contiene un episodio esauriente. Negli ultimi mesi di vita Dash, era attratto da una balestra esposta in vetrina poco lontano da casa. Così Lilian, per il compleanno, decise di regalarla a quell’uomo che mai l’avrebbe acquistata. Pochi giorni dopo, la coppia ricevette la visita di una famiglia amica. Madre, padre, un ragazzino. Con il quale Hammett si divertì a sparare frecce nel pomeriggio. Al momento dei saluti Lilian si accorse che il giovanissimo ospite se ne andava con la balestra sotto il braccio. «Ma come, Dashiell, la desideravi così tanto…». Risposta: «Le cose appartengono a chi le desidera di più». Ecco. È questa frase che più di altre rimane come un lume capace di offrire un piccolo, salutare orientamento. Ed è per questo che di Hammett, i cui libri consiglio comunque garantendo divertimento, racconto qui.
“Le cose appartengono a chi le desidera di più”. Significa educare alla rinuncia, trattare certe smanie come superflue, fare un passo indietro. Soprattutto quando abbiamo di fronte qualcuno che merita una priorità. Rispetto a noi, al nostro ego, ad un bisogno alla fine superfluo. Per qualche verso mi pare un anticonformismo, un anti-consumismo da opporre all’iperbole da Black Friday, Saturday, Sunday, eccetera. Un suggerimento alla verifica del desiderio proprio e altrui. In arrivo da un vecchio signore che non possedeva più nulla, che desiderava tanto, non altrettanto fortemente, una balestra per giocare nei campi.

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