Diventare figli, nel nome del “padre”: padre Kizito Sesana è diventato papà

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Martin, Godfrey e Innocent hanno voluto farmi una sorpresa prima della mia partenza da Lusaka: sulla loro tanto agognata carta d’identità si chiamano Martin Nkhoma Sesana, Godfrey Kasongo Sesana e Innocent Tembo Sesana. Padre. Quasi sempre è un appellativo che si dà e, nel mio caso, si riceve per abitudine. Raramente essere chiamati padre diventa un dono così prezioso e impegnativo

«Martin, Godfrey e Innocent hanno voluto farmi una sorpresa prima della mia partenza da Lusaka: mi hanno aspettato all’uscita con in mano la tanto agognata carta d’identità. Hanno dovuto aspettare a lungo e dimostrare di avere 18 anni per ottenerla. E adesso vogliono che le legga ad una ad una. Perché ormai si chiamano Martin Nkhoma Sesana, Godfrey Kasongo Sesana e Innocent Tembo Sesana. Con tre tipi così, la discendenza della famiglia Sesana è assicurata», scherza padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano, pendolare tra Nairobi in Kenya e Lusaka in Zambia, dove operano le comunità di Koinonia che ha fondato. Sempre al servizio dei bambini di strada. In fondo, però, padre Kizito è anche un po’ commosso dal gesto di quei tre ragazzi che hanno deciso in qualche modo di diventare suoi figli.

Il nome è una cosa seria
La scelta del nome in Africa passa, a volte, per meccanismi strani agli occhi di noi europei. Sempre più spesso ormai si prende – come da noi – il cognome del padre. Poi, ai cristiani, viene assegnato quello di un santo e magari anche uno della tradizione della tribù di appartenenza. E spesso, ma non ufficialmente, si attribuisce pure un nomignolo che poi sarà quello con cui tutti finiscono per riconoscergli. Insomma, la questione del nome è spesso molto complicata. Martin, Godfrey e Innocent, però, un padre non l’hanno mai avuto.
O, comunque, non è mai stato un vero padre. Sono cresciuti in strada e sono stati accolti nel centro di Koinonia di Mthunzi, alla periferia di Lusaka. Non hanno mai avuto neppure un documento di identità. E allora, quando finalmente sono stati riconosciuti ufficialmente anche dalla burocrazia zambiana, si sono attribuiti loro stessi il nome che sentivano più loro: Sesana.

Ex ragazzi di strada
«Questi tre ragazzi hanno alle spalle storie tormentate – racconta padre Kizito –. Solo nel nostro centro di Mthunzi si sono stabilizzati e hanno costruito una loro identità. Non sono diventati stinchi di santi, semplicemente dei ragazzi semplici, pieni di sogni e felici di essere al mondo come tanti altri. Avevamo pensato che forse un’adozione formale avrebbe potuto dar loro un senso di appartenenza più solido, ma poi eravamo rimasti frenati dai possibili costi. Loro hanno risolto brillantemente la situazione: quando un operatore sociale di Mthunzi li ha presentati all’anagrafe, garantendo che sono cresciuti con noi negli ultimi cinque anni, al momento di dichiarare il loro nome, loro – seri, seri – hanno aggiunto Sesana ai nomi di origine abbastanza incerta che già avevano. Senza batter ciglio l’ufficiale l’ha fedelmente registrato sui documenti». Un’adozione al contrario, in qualche modo. O forse davvero reciproca. Martin, Godfrey e Innocent si sono scelti e riconosciuti come figli e fratelli. Una cosa che ha fatto riflettere il missionario: «Padre. Quasi sempre è un appellativo che si dà e, nel mio caso, si riceve per abitudine. Raramente essere chiamati “padre” diventa un dono così prezioso e impegnativo».

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