Enzo Bianchi: “E’ urgente cambiare il nostro modo di vivere”

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«Siamo in un momento in cui è urgente una riflessione a livello di gente, di popolo. C’è l’urgenza di una responsabilità, di un cambio di paradigma del nostro modo di vivere. L’enciclica di Papa Francesco è rivolta non ai cristiani o ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Il Papa si rivolge a tutti perché all’interno del pensiero di Francesco c’è l’umanità».

Sono le parole di Enzo Bianchi, 78 anni e una vita trascorsa da monaco non solo a meditare, a pregare, ma a declinare nella sua vita il messaggio del Vangelo. Nato in un Comune di nemmeno seicento abitanti, Castel Boglione, nelle Langhe, ha ereditato dalla tradizione contadina l’amore per la terra e ha fatto di un luogo anonimo, qual era la frazione di Bose sul crinale collinare sud-orientale della Serra d’Ivrea, uno spazio ecumenico, di cultura e capace di accogliere ogni uomo. Con lui facciamo qualche riflessione a partire dall’enciclica di Papa Francesco, Laudato si’, all’indomani dell’evento Coop26 tenutosi a Glasgow.
Che valore ha oggi l’enciclica di Francesco, scritta nel 2015?
Grazie a Papa Francesco, per la prima volta nel magistero cattolico, si è compresa l’unitarietà del problema. Il Papa ama molto il poliedro perché non è una sfera che presenta la stessa faccia ma una pluralità di volti tutti connessi nella differenza. Il nostro sguardo deve essere allenato alla complessità. Il problema ecologico contiene diverse facce: la guerra, la carestia, la pandemia. Finalmente con questa Enciclica il problema ecologico è unito a quello della giustizia del pianeta. Il Papa ha avuto il coraggio di attingere alla tradizione ortodossa che ha sempre avuto più attenzione per il tema dell’ecologia. Se si dovesse riassumere in due termini l’enciclica parlerei di consapevolezza e responsabilità.
Quanto accaduto a Glasgow alla Coop26 è apparso deludente, soprattutto per quanto riguarda il richiamo alla giustizia e ai poveri. Ho la sensazione che da questi incontri non ne trarremo nulla. Hai anche tu questa percezione?
Si accendono qua e là delle speranze. Questa volta era per l’accordo tra Cina e Stati Uniti per ridurre l’anidride carbonica nell’atmosfera ma poi si è visto, a conclusione, che non c’è nemmeno l’inizio dell’imbocco di una scelta. Noi Paesi ricchi abbiamo fatto tutto quello che abbiamo voluto mentre ora gli Stati poveri si trovano nella situazione di usare fonti di energia inquinanti, senza poter far altro. Chiediamo loro di ridurle ma è una contraddizione. C’è un assetto di ingiustizia su cui si regge il mondo che diventa quasi impossibile. Dobbiamo chiedere ai nostri governi di fare qualcosa. è cresciuta una forma di egoismo parossistico. Ognuno pensa al suo interesse e alcuni fondamenti del cristianesimo (bene comune, condivisione, aiuto dei poveri) vengono a mancare. Restano solo slogan. Lo dico con la libertà di chi è arrivato a 78 anni e sa che è alla soglia. Per me non cambierà molto all’orizzonte. Quando penso ai ventenni, agli adolescenti, mi chiedo quale mondo stiamo lasciando loro. Mio padre, semplice stagnino nel dopo guerra, mi diceva: “Enzo cerca di lasciare il mondo più bello di come l’hai trovato”. Questa è la nostra urgenza, altrimenti sarà la barbarie tra di noi, crescerà la violenza e saremo talmente invasi che perderemo tutta la nostra possibilità di dare un cammino di umanizzazione. Occorre che la politica abbia la forza di chiedere il primato. La politica deve governare tecnologia, economia e finanza o avremo una situazione di vita sempre peggiore.
So quanto tu faccia due cose: l’orto e la spesa. Quanto ogni persona può invertire il sistema?
Dobbiamo imparare a mangiare. Si parla molto di cibo ma il rischio è quello di arrivare ad una pornografia del cibo senza poi darci dei contenuti. Dobbiamo davvero discernere ciò che è buono. Il cibo deve essere giusto e condiviso con chi non ce l’ha. Da sempre, vado una volta la settimana al supermercato perché mi piace, perché sento la gente, perché vedo quello che compra. A volte torno a casa felice dicendomi “ma guarda quante cose ho visto sui carrelli di cui io non ne sento il bisogno”. è una gioia immensa. Vivo nella sobrietà. Non mi manca nulla. Non spreco. Bisogna imparare nel quotidiano. Il rispetto della terra è discernere i frutti. Solo a Torino, ogni cittadino butta in un anno circa 47 chili di pane. Come è possibile? I nostri frigoriferi sono l’anticamera della spazzatura. La sobrietà non è vivere di pane ed acqua ma usare l’intelligenza, avere un buon rapporto con le cose. Per me, come cristiano, la terra è un gioioso Vangelo. Purtroppo vado di rado nel mio Monferrato, ma quando riesco, ho bisogno di contemplarlo e amarlo nel silenzio. Mi hanno insegnato a piantare alberi. Sono felice di aver seminato circa mille tigli, 250 fichi e potrei continuare. Dov’era possibile ho piantato alberi. Con gli ultimi tigli ho creato un viale che non potrò vedere, ma se lo godranno gli altri quando sentiranno il profumo. Così ho abbellito quell’angolo di terra che avevo rendendolo migliore di quando me l’hanno dato. è così che dobbiamo vivere. Accanto a questo serve una dimensione della carità, ma se non passa attraverso la politica, non è vera dimensione cristiana.
In uno dei tuoi libri ci fai riflettere sul Padre nostro. Quanto è urgente che la politica senta il bisogno del “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”?
La povertà va vista insieme al fernomeno che l’ha provocata: l’impoverimento. Quando c’è un povero devo dire “Là c’è uno che è stato impoverito”. Non basta la parola “poveri” che suscita sentimenti di misericordia ma non di giustizia. Non bisogna fermarsi all’emozione delle viscere, ma vedere il povero come segno dell’ingiustizia. Fermatevi davanti a un povero e anziché dargli un po’ di soldi chiedetegli: perché sei qui? Perché sei finito così? Cosa ti è successo? Guardatelo negli occhi, dategli la mano. Questa è la grammatica umana. Mio padre, ateo, non credente, comunista, quando arrivava un povero lo portava a tavola con me e mia madre e diceva: «Enzo, il giorno in cui tu darai la minestra sulla porta a un povero non sarai più mio figlio». Mio padre mi ricordava che erano uomini come noi, che dovevano stare a tavola come noi. Ho sempre detto ai preti miei amici: dite ai vostri parrocchiani di invitare a casa un povero durante le feste e farlo accomodare alla loro tavola. Dopo la dimensione personale ci vuole la politica: siamo cittadini e dobbiamo chiedere ai nostri rappresentanti di fare una politica in cui la giustizia sociale entra come una loro missione. «Se un governo non è capace di attuare l’uguaglianza e la giustizia è un governo – diceva Sant’Agostino – di delinquenti».

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