Generazione dispersa

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Sono oltre tre milioni i giovani dai 14 ai 35 anni in Italia che non studiano e non lavorano. La maggior parte di loro ha un diploma o una laurea ma sono tanti , quasi un terzo del totale, quelli che hanno abbandonato il percorso di studi dopo la terza media. Per aver scelto un percorso troppo ambizioso oppure perché non seguiti adeguatamente da famiglia e istituzioni all’insorgere delle prime difficoltà. Viaggio di Scarp alla scoperta di chi si batte per offrire una seconda possibilità a questi ragazzi

Il numero, duro e puro, è drammatico: in Italia un giovane su quattro non studia e non lavora. È fuori da quella che consideriamo una partecipazione attiva alla costruzione della società. È drammatico perché stiamo parlando di una fascia d’età piuttosto ampia, che comprende ragazzi di 15 anni ma anche adulti trentenni: la fase della vita in cui si hanno più energie e più risorse da investire e mettere a frutto. Eppure, uno su quattro se ne sta ai margini, spettatore di una società che dovrebbe invece vederlo protagonista.
Il dato emerge da due diverse ricerche condotte negli ultimi mesi (una di Save the Children, l’altra del sindacato della Cgil con Action Aid), secondo cui in Italia i giovani tra i 15 e i 29 anni che non frequentano una scuola, non stanno lavorando né stanno seguendo alcun percorso di formazione sono circa 3 milioni, tra il 23 e il 25% del totale dei coetanei, più che in ogni altro Paese europeo dove la media è del 13%, e più del doppio di Francia e Germania, che sono intorno al 9%.
In gergo, questi giovani sono chiamati Neet: Not in education, employment or training, appunto non inseriti in percorsi di istruzione, lavoro o formazione. Parliamo però di persone molto diverse e che sono in questa condizione per motivi altrettanto diversi. Ci sono i giovanissimi che hanno lasciato la scuola e chi la scuola magari l’ha finita ma vive in contesti con poche opportunità lavorative, c’è chi un lavoro l’aveva, l’ha perso e, nonostante un buon titolo di studio, non trova nulla all’altezza delle proprie aspettative. C’è anche chi il lavoro non lo sta cercando, magari perché donna e neo madre e riorientata sulla scelta di restare fuori dal mercato del lavoro.
«Certamente è un aggregato un po’ troppo ampio, ma è necessario partire da lì, cioè dal fatto che si tratta di giovani che si perdono nella transizione scuola-lavoro restandone fuori. Questa condizione va evitata. è l’assunto da cui partire: tutti i giovani devono poter compiere in maniera solida il passaggio dalla scuola al lavoro. È necessario quindi prima capire perché quella transizione non ha funzionato. Le risposte da dare poi devono essere differenziate, perché sono differenziate le fasi della vita che si stanno attraversando. Anzi, dovrebbero essere specifiche non solo per sottogruppi, ma per ciascun singolo», chiarisce Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica e coordinatore scientifico dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo.

Al Sud tutto pìù difficile
Secondo il rapporto Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche di Cgil e Action Aid, i giovani definiti Neet possono essere distinti in diverse fasce di età e condizione: ci sono i giovanissimi 15-19enni che hanno lasciato la scuola, hanno solo la li…

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