Green bond Di “ecologico” c’è solo il nome

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Esistono da qualche anno ormai. Nel nome e nelle intenzioni dovrebbero essere strumenti finanziari green e sostenibili. Nella realtà, e per molti Paesi, sono spesso operazioni di greenwashing per celare dietro facciate verdi progetti e maxi opere che fanno a pugni con l’ambiente

Come consentire alle imprese e ai soggetti pubblici di finanziare la transizione ecologica?
A questa domanda si può rispondere in molteplici modi. È possibile immaginare, ad esempio, di introdurre una tassazione ad hoc sulle attività più nocive per il clima. Oppure si può imporre un prelievo in ragione della quantità di CO2 emessa (la cosiddetta carbon tax).
O ancora si può scegliere un settore particolarmente ricco e provare a drenare denaro a favore di progetti utili per decarbonizzare l’economia: la proposta per introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie, rappresenterebbe un piccolissimo prelievo (compreso tra lo 0,01 e lo 0,05%) ma consentirebbe di ricavare cospicue somme di denaro, vista l’ingente mole di capitali che gira nel mondo della finanza. Infine, si possono creare strumenti appositi per consentire a imprese ed enti pubblici di ottenere denaro vincolato ad un uso sostenibile.
Questo è – ma occorre usare il condizionale, dovrebbe essere – l’obiettivo prefissato con l’introduzione dei green bond. Le obbligazioni verdi sono titoli di debito che un soggetto emittente (può essere un’azienda, un Comune o lo Stato) piazza sul mercato. Chi compra questi bond finanzia di fatto le imprese, o gli enti che li emettono, che restituiranno il capitale alla scadenza con l’aggiunta di un tasso di interesse. Apparentemente semplice e lineare. Il problema sorge però nel momento in cui si cerca di andare a fondo per comprendere quali siano i vincoli imposti all’uso dei capitali ottenuti. Troppo spesso, infatti, il denaro viene concesso a progetti che poco hanno a che fare con la sostenibilità.
Ma facciamo un passo indietro. Il primo green bond è stato emesso dalla Banca europea per gli investimenti (Bei) nel luglio del 2007. Occorrerà però aspettare anni per vedere emergere un vero e proprio mercato. E solamente nel 2013 verrà fatto il primo passo per fornire un quadro, al fine di disciplinare la materia, con i Green bond principles che tuttavia rappresentavano delle linee guida poco stringenti e soprattutto non vincolanti. Così, non pochi soggetti hanno sfruttato le obbligazioni verdi per auto-attribuire un’etichetta ecologica ai propri business.


Regole poco chiare
Un’analisi pubblicata dall’organizzazione non governativa Reclaim Finance ha acceso i riflettori su una serie di casi emblematici e, soprattutto, sulla mancanza di regole chiare che siano in grado di fissare i paletti entro i quali, coloro che utilizzano green bond per finanziarsi, possono operare. «La regolamentazione è ancora molto debole – spiegano i responsabili dell’associazione – ed è per questo che le obbligazioni verdi rappresentano una realtà molto variegata. Alcuni progetti, di verde, hanno solo l’etichetta, tra i soggetti emittenti figurano alcuni tra i principali responsabili delle emissioni di gas ad effetto serra. Inoltre, studiando le loro caratteristiche finanziarie, si scopre come i green bond siano sostanzialmente identici alle obbligazioni tradizionali. Il che non fa altro che facilitare il greenwashing».
In altre parole, occorrerebbero limitazioni e paletti più rigorosi. Se un’azienda da una parte emette un green bond per finanziare un progetto ecologico (ammettendo che lo sia), ma dall’altra continua ad investire nel carbone, dobbiamo chiederci quale sia il senso complessivo dell’operazione. Una soluzione proposta da Reclaim Finance è che le emissioni di obbligazioni verdi siano subordinate non soltanto al finanziamento del singolo progetto ma anche «al profilo complessivo di ciascuna azienda: solo le imprese che hanno adottato piani dettagliati per la decarbonizzazione delle loro attività, nell’ottica di allinearsi all’obiettivo di limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, dovrebbero poter accedere a tali strumenti».


I green bond cinesi
Ci sono moltissimi esempi che confermano la necessità e l’urgenza di inquadrare in modo più chiaro il mercato dei green bond. Uno tra i più emblematici riguarda la Cina.
Nell’agosto del 2019 – come riferito dall’agenzia Reuters – nella prima metà dell’anno furono emessi green bond per un totale di 1,1 miliardi di dollari, per finanziare 13 progetti legati allo sfruttamento del carbone, comprese centrali e produzione di Cbm (metano da carbone). Non stupisce quindi che dalle analisi effettuate dal think tank Climate bond initiative, i green bond emessi tra gennaio e maggio del 2020 siano, solo in piccola parte, allineati al meno ambizioso degli obiettivi dell’Accordo di Parigi (ossia quello dei 2 gradi centigradi di riscaldamento globale, anziché 1,5). Nello specifico, 66,5 miliardi di dollari sono risultati compatibili con tale target, a fronte di 90,1 miliardi che non lo erano.
Secondo Reclaim Finance, oltre all’analisi dei soggetti emittenti, occorre anche far sì che i green bond presentino un prezzo superiore a quello degli strumenti standard. Le aziende, cioè, dovrebbero pagare tassi d’interesse più bassi rispetto alle obbligazioni tradizionali al fine di rendere quelle green più appetibili e dunque privilegiate. Ad oggi, invece, i prezzi sono sostanzialmente allineati. Il che alimenta il ricorso ai green bond in quanto potenti strumenti di greenwashing. «Una società – precisa l’organizzazione non governativa – può far credere di aver avviato una trasformazione ecologica dei propri business e i grandi investitori, a loro volta, possono giustificare il fatto di aver incluso nel proprio portafoglio bond considerati green, di aziende le cui attività sono particolarmente nocive per il clima».
Affermando di voler ovviare ad uno dei limiti delle obbligazioni verdi, di recente è apparsa una nuova tipologia di strumenti finanziari: le obbligazioni di transizione. Uno dei principali promotori è il gruppo Axa, che promette di finanziare solo imprese “non inquinanti”. Alle aziende, tuttavia, secondo Reclaim Finance, non viene richiesta alcuna prova rispetto al loro impegno su un ipotetico processo di transizione ecologica. Infatti le prime emissioni hanno riguardato anche programmi di colossi delle fonti fossili. La strada per chi vuole investire in modo green, dunque, è davvero lastricata di specchi per le allodole.

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