Copenaghen, 2009. I Paesi ricchi del Nord sottoscrivono l’accordo per destinare 100 miliardi all’anno per contrastare il cambiamento climatico nel Sud del mondo. Un’inchiesta della Reuters è andata a vedere dove sono finiti i soldi, anche dell’Italia. Tra sorprese e imbarazzanti giustificazioni
Questa storia comincia quattordici anni fa, a Copenaghen. Nella capitale danese si svolgeva la quindicesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, la Cop15.
Contraddistinta da tre fatti: fu la prima nel corso della quale ci furono grandi manifestazioni popolari, i prodromi delle marce per il clima, delle grandi mobilitazioni degli ultimi anni. Le persone prendevano davvero coscienza della gravità del problema e volevano far sentire la loro voce. La seconda fu che a quel grido il mondo rispose con un sussurro: la Cop15 è ricordata come un fallimento, poiché non si riuscì ad accordarsi su come proseguire e rilanciare fortemente gli impegni climatici internazionali, fino a quel momento sanciti unicamente dal Protocollo di Kyoto (documento storicamente importante ma insufficiente per limitare la crescita della temperatura media globale entro livelli accettabili). Tra i pochissimi avanzamenti ottenuti a Copenaghen ci fu, ed è questo il terzo elemento per il quale la Cop15 è ricordata, la promessa da parte dei Paesi ricchi di tutto il mondo di aiutare quelli più poveri ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Si trattò effettivamente di una svolta dal punto di vista politico. Da una parte, perché i Paesi più sviluppati accettarono il principio secondo il quale fossero loro a dover far fronte alle spese necessarie per consentire ai più poveri di adattarsi agli eventi …