Il dilemma dell’Europa Come classificare le attività economiche?

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L’Unione europea ha introdotto un sistema, basato sul concetto di tassonomia, per classificare le diverse attività economiche. Impresa ardua: per la Francia il nucleare è un’attività sostenibile, per altri lo è l’estrazione del gas

Per ottenere risultati concreti nella battaglia contro i cambiamenti climatici, occorre uno sforzo collettivo. Governi, istituzioni internazionali, industrie, imprese, cittadini: tutti devono agire per limitare le emissioni di gas ad effetto serra. Compreso il mondo della finanza. Già, perché il quantitativo di denaro che banche, fondi d’investimento e compagnie d’assicurazione sono in grado di mobilitare è gigantesco. E altrettanto gigantesco, di conseguenza, è l’impatto delle loro scelte di business. Basti pensare che il controvalore dei soli prodotti finanziari derivati, a livello globale, è circa dieci volte superiore al prodotto interno lordo mondiale. Cioè più dell’intera ricchezza, beni e servizi, prodotta in un anno da tutti i Paesi del pianeta. Quell’enorme mole di denaro deve dunque essere necessariamente orientata, affinché sia compatibile con gli obiettivi climatici che la comunità internazionale ha fissato. Evitando, ad esempio, che si continui a far affluire prestiti e finanziamenti alle compagnie che operano nel settore delle fonti fossili. Come farlo? L’Unione europea ha escogitato un sistema, chiamato tassonomia. Da anni le istituzioni europee sono al lavoro per stabilire una classificazione delle attività economiche che possono essere considerate sostenibili. Una tassonomia, appunto. L’impresa si è rivelata tuttavia fino ad ora ardua. Non soltanto per le difficoltà oggettive dovute a un tale tipo di compito, ma anche per le enormi pressioni alle quali sono sottoposti i decisori politici di Bruxelles, Commissione in testa. Vedere il proprio business compreso nella tassonomia, infatti, significa poter accedere in futuro con molta più facilità a finanziamenti provenienti da soggetti privati e da enti pubblici. Al contrario, un’esclusione potrebbe mettere in seria difficoltà, soprattutto nel caso di determinati comparti.


Braccio di ferro
Non a caso si è generato un autentico braccio di ferro tra i Governi dei Paesi membri dell’Unione europea, attorno ai due nodi principali. Tutti sono d’accordo, infatti, nel ritenere che, ad esempio, gli investimenti in solare ed eolico possono essere considerati sostenibili. E che, al contrario, quelli relativi allo sfruttamento del carbone sono incompatibili con la salvaguardia del clima (e della salute pubblica). Più complesso, invece, è risultato il discorso relativo al gas naturale e al nucleare. Sul primo, alcune Nazioni hanno affermato che rappresenta una buona alternativa a carbone e petrolio, poiché le emissioni per unità di energia prodotta, così come per i processi industriali, sono nettamente inferiori. Ciò è vero, ma secondo le associazioni non basta. Anche se il gas naturale presenta infatti un impatto climalterante inferiore rispetto alle altre fonti fossili, i dati indicano che non possiamo permetterci di bruciarne ancora, se vogliamo limitare ad 1,5 gradi la crescita della temperatura media globale, di qui alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.
«Il gas è un combustibile fossile. L’idea stessa di classificarlo come ambientalmente sostenibile è una vergogna», spiega Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia. Secondo la quale «la tassonomia dell’Unione europea è stata originariamente creata per fermare il greenwashing delle istituzioni finanziarie: non può perciò assolutamente trasformarsi in uno dei principali strumenti di greenwashing del mondo, stavolta col benestare della stessa Ue. Sono in gioco sia il Green Deal europeo che la leadership climatica globale europea. Se la Commissione ignora completamente le raccomandazioni scientifiche del gruppo di esperti e il lungo processo di consultazione, che senso ha averli consultati?». Il riferimento è al gruppo tecnico di esperti sulla finanza sostenibile che ha steso un rapporto ad hoc proprio in riferimento all’uso del gas.


I dubbi sul nucleare
Nonostante gli allarmi delle ong, alla fine dello scorso mese di marzo è trapelata però sulla stampa internazionale una prima bozza degli atti delegati della tassonomia. La bozza predisposta dalla Commissione puntava a creare due nuove categorie di attività. Da un lato, la sostituzione dei sistemi di riscaldamento urbano alimentati da un combustibile fossile diverso dal gas. Dall’altro, la sostituzione di impianti di cogenerazione. A condizione che essi rispettino una serie di standard. In particolare, la riduzione di almeno il 50% delle emissioni rispetto agli impianti più vecchi e il fatto di non superare in ogni caso i 270 grammi di CO2 equivalente per chilowattora prodotto. La reazione delle associazioni ambientaliste è stata immediata e particolarmente dura. Nella bozza, d’altra parte, si lasciava una porta aperta anche al nucleare. Sull’atomo la questione è annosa: da una parte i difensori dell’energia prodotta tramite i reattori sottolineano che l’impatto in termini di emissioni è estremamente basso rispetto alle fonti fossili. Dall’altro, i detrattori ricordano che non si tratta comunque di un impatto nullo, e che esistono problemi di sicurezza, di costi altissimi e di gestione delle scorie. Una centrale nucleare non potrà mai essere sicura al 100%, i cantieri dei reattori di terza generazione in costruzione in Finlandia e Francia hanno subito ritardi enormi, e le difficoltà che Parigi mostra nella gestione del combustibile esausto non possono essere sottovalutate. Da qui la richiesta di esclusione dalla tassonomia, sulla base del principio di innocuità che devono soddisfare le attività economiche considerate sostenibili.
La decisione da parte della Commissione europea è arrivata infine nella seconda metà di maggio. O, meglio, la “non decisione”. Mercoledì 21 aprile, infatti, Bruxelles ha pubblicato un documento nel quale, di fatto, su gas e nucleare non viene definita una strada chiara, bensì prende tempo. Sull’atomo, in particolare, si è deciso di attendere tre mesi al fine di valutare un rapporto del Joint Research Centre, un organismo interno alla stessa Commissione che si è espresso favorevolmente sull’energia nucleare, ma che è finito nel mirino dell’associazione Greenpeace poiché finanziato da Euratom. Il documento sarà perciò sottoposto al vaglio di due gruppi di esperti indipendenti che hanno 90 giorni di tempo per fornire la loro valutazione. Per quanto riguarda infine il gas, la Commissione si è affidata ad una formula anodina: «Abbiamo valutato l’inclusione del gas naturale dal punto di vista tecnico, come nel caso di altri settori. In questo contesto, esiste un’ampia gamma di valutazioni. Un atto delegato complementare, che sarà adottato nel corso del 2021, tratterà l’argomento. Inoltre, la Commissione considererà la possibilità di una legislazione specifica sul gas». Né sì, né no, dunque. Almeno per ora. Nel frattempo, il braccio di ferro tra Governi, lobby, parlamentari e cittadini prosegue.

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