Julia Butterfly Hill «Ciascuno di noi può fare la differenza»

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Mentre il cambiamento climatico minaccia la vita sul pianeta e micidiali cicloni cominciano ad affacciarsi perfino nel Mediterraneo, vale la pena di ripensare all’impresa di Julia Hill e alle ragioni che la ispirarono

La sera del 10 dicembre 1997 una ragazza di 23 anni, di nome Julia Hill, si arrampicò su una gigantesca sequoia nel Grizzly Creek State Park, nella California settentrionale. Avrebbe dovuto restare su quell’albero, sopra una piattaforma costruita da un gruppo di militanti ambientalisti, per pochi giorni: il tempo di richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla sorte della foresta minacciata dall’avidità della Pacific Lumber, una grande e spregiudicata impresa di legname, con una vocazione per i disboscamenti distruttivi.
In realtà Julia scese dalla sequoia 738 giorni dopo, e solo quando la Pacific Lumber s’impegnò per iscritto a risparmiare quell’albero gigantesco, a tenere le proprie micidiali motoseghe ad almeno sessanta metri di distanza da quel millenario esemplare di sequoia e lasciandole intorno una sorta di cintura di sicurezza naturale.
Quasi un quarto di secolo dopo, mentre il cambiamento climatico minaccia la vita sul pianeta e micidiali cicloni cominciano ad affacciarsi perfino nel Mediterraneo, vale la pena di ripensare all’impresa di Julia Hill e, soprattutto, alle ragioni che la ispirarono. Nel libro, scritto per raccontare quei due anni sospesa tra i rami (La ragazza sull’albero, il titolo italiano), Julia – che scelse di aggiungere al suo il nome Butterfly (farfalla) – ha annotato: «Ogni giorno, come specie, facciamo di tutto per distruggere la capacità della Creazione di darci la vita, ma la Creazione continua a fare ciò che è in suo potere per offrircela comunque. Questo è il vero amore». E vero amore era anche ciò che Julia provava nei confronti della natura e delle sequoie, «antenati degli alberi, testimoni dei giorni dei dinosauri», al punto da sopportare sfibranti fatiche per difendere la foresta, in un’area della California dove d’inverno i venti soffiano anche a 110 chilometri all’ora e la neve cade copiosa.
Figlia di un predicatore itinerante, vissuta fin da bambina in una roulotte da campeggio, Julia attribuiva alla consuetudine con un’esistenza austera, se non decisamente povera, la sua capacità di adattarsi al freddo, alla fame e alle numerose difficoltà di abitare per due anni su una piattaforma a 54 metri dal suolo, dalle dimensioni di neppure due metri per due, avendo come toilette un barattolo e un secchio foderato con un sacco per l’immondizia. Con la sua ostinazione a restare confinata su quel rettangolo ancorato ai rami – una tenacia che oggi verrebbe catalogata sotto la voce “resilienza” –, a dispetto delle minacce della Pacific Lumber, che mandò, per spaventarla, perfino gli elicotteri, Julia Hill riuscì a creare, intorno alla foresta minacciata, un vasto movimento di solidarietà e di resistenza. Tanto che su quell’ormai celebre sequoia si arrampicò avventurosamente, per far visita a Julia e dar forza alla sua causa, la cantante Joan Baez, mito di generazioni di giovani. Vinta la sua battaglia, tornata a terra, Julia Hill ha affidato alle ultime pagine del suo libro una riflessione che è insieme semplice e profonda: «Una persona può fare la differenza. Ciascuno di noi la fa». Dovremmo ricordarcene ogni giorno.

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