Le battaglie contro l’emarginazione e per la difesa dei diritti dei più deboli saranno sempre più numerose
e vedranno questo giornale impegnato in prima linea
Un quarto di secolo fa, accettai una bella sfida insieme ad amici e colleghi: realizzare un giornale di strada non solo per dare voce agli ultimi, ma anche dignità e lavoro a chi aveva perso tutto. Siamo partiti da un patrimonio, il nome della testata, che richiama una canzone immortale, molto milanese, dell’indimenticabile Enzo Jannacci e il mondo nella strada con un tocco un po’ romantico e demodé. Il merito va al geniaccio di Pietro Greppi. Ma il resto era tutto da costruire. Oltre a don Virginio Colmegna, che allora dirigeva la Caritas Ambrosiana, i compagni di viaggio che ci hanno aiutato a muovere i primi, fondamentali passi erano dei giganti.
Primo fra tutti Ermanno Azzali, figura straordinaria e unica nel volontariato milanese venuta a mancare troppo presto, per la sua spinta e la forza. Poi Corrado Mandreoli, che ci ha dato idee e l’appoggio non solo della Camera del Lavoro Milanese, ma anche dei lavoratori nelle fabbriche dove si andava a presentare il progetto e a vendere la rivista. Infine suor Claudia Biondi una persona che vive da sempre accanto ai poveri e che ci ha consentito di sviluppare il sostegno ai primi venditori e ci ha messo in contatto con il variegato universo delle riviste di strada. Il progetto era ed è complesso, univa e unisce giornalismo e inclusione sociale, racconta una realtà invisibile e scomoda ma ricca di umanità al quotidiano, che per definizione è distratto, indaffarato e indifferente.
Molto poi si deve ai primi venditori e ad Antonio Mininni, che dalla strada proveniva, il quale si è impegnato subito a coordinare le vendite e a trovare venditori e storie in quel gruppo di lavoro unico che è la redazione di strada via via arricchitosi. Voglio solo ricordare alcuni venditori storici che non ci sono più, come Vittorio Garreffa, Michele Beltemacchi, Antonio Saccogna e Claudio Calò mentre il nostro primo venditore davanti all’Arcivescovado di Milano in Piazza Fontana, il mitico Mauro Iodice, è tuttora in attività. Il primo punto di svolta si è avuto dopo qualche mese quando grazie alle vendite e alla particolare natura giuridica del venditore di giornali di strada cui va una percentuale del prezzo di copertina, abbiamo scoperto grazie alla Caritas Ambrosiana che si poteva ottenere un alloggio popolare chiudendo così il cerchio dell’integrazione che partiva da dormitori e comunità. Il secondo sono state le vendite in parrocchia con vere e proprie “adozioni” dei venditori da parte delle comunità. Quindi la trasformazione in giornale nazionale con l’apertura in altre città, anche al sud, dove le milanesissime Scarp camminano bene. I contenuti si sono affinati man mano che si affinava la conoscenza della strada, delle sue storie e delle tante povertà in evoluzione. La forza di Scarp sta ancor oggi nella autenticità del messaggio e nella capacità di dialogare con altri mondi. Ad esempio quello del design, del fumetto, della poesia, della tv, della radio. E il coinvolgimento nella sfida di grandi firme del giornalismo italiano. Senza contare le straordinarie possibilità offerte dai social sui quali il seguito della rivista, ormai marchio multimediale, è enorme. Ma guardarsi indietro e ripercorrere un sentiero a volte stretto e sempre in salita non garantisce il futuro. Le sfide si rinnovano, la pandemia sanitaria è diventata pandemia sociale e acuirà le disuguaglianze. Le battaglie contro l’emarginazione saranno sempre più numerose e vedranno questo giornale impegnato in prima linea. Ma non da solo. Una speranza in più viene dalla vicenda del sedicenne lodigiano, Ermanno, che sta silenziosamente protestando seduto davanti al Comune che ha rimosso dal centro una panchina sulla quale si sedevano i senza dimora. In ragazze e ragazzi così rivedo noi e il nostro spirito ribelle e positivo di 25 anni fa. I sogni di giustizia e solidarietà sono sempre giovani e per certe sfide ci vogliono le Scarp de’ tenis.