La lezione del Quartetto del dialogo: dialogo per favorire la democrazia

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Sembra che parlino per noi, che non presidiamo abbastanza le conquiste sociali, i diritti, la libertà, la dignità delle persone. Noi, arrendevoli o ciechi, spesso indifferenti, sovrastati da parole come business e crescita, paralizzati dai do ut des dell’economia e della finanza

Si va a sentire una lezione in Bicocca, in questi giorni roventi e sconsolati, con le bombe russe che abbattono l’Ucraina davanti al mondo civile, spettatore in tv di un inutile massacro. E si impara come è difficile difendere la pace, e con la pace i diritti, e con i diritti la dignità delle persone. «Non esiste la dignità senza pane», dice Houcine Abassi, segretario generale dei lavoratori in Tunisia. «Per essere liberi bisogna presidiare la costituzione», spiega Abdessatar Ben Moussa, presidente della Lega diritti dell’uomo. «Senza immaginare un mondo nuovo non usciremo dalle crisi», aggiunge Mohammed Mahfoudh, presidente degli avvocati tunisini.
Sembra che parlino per noi, che non presidiamo abbastanza le conquiste sociali, i diritti, la libertà, la dignità delle persone. Noi, arrendevoli o ciechi, spesso indifferenti, sovrastati da parole come business e crescita, paralizzati dai do ut des dell’economia e della finanza. Chissà perché non fa rumore in tv e sui giornali il grido disperato contro la povertà che viene dai premi Nobel per la Pace del 2015, quelli che hanno creato il Quartetto del dialogo per contrastare la dittatura di Tunisi, mettendo insieme mondi e culture diverse, senza violenza, senza armi, senza cannoni. Che altro si dovrebbe dire per fermare la deriva che, dopo la pandemia e la guerra, condanna i poveri ad essere ancora più poveri?
Qui, in un’aula affollata di studenti, i protagonisti della rivoluzione dei Gelsomini del 2011 rilanciano la tesi della cittadinanza attiva che vigila sul potere, e il dialogo come mezzo di contrasto quando lo stesso potere cerca di automantenersi diventando autoritario, dispotico, violento. Raccontano l’esperienza del Quartetto del dialogo (la cui quarta gamba è la presidente di industriali e commercianti Ouided Bouchamaoui) e ricordano la motivazione del Nobel: per aver contribuito alla formazione di una democrazia pluralista, dando voce anche a chi non ha voce.
Dieci anni dopo aver innescato il cambio di regime in Tunisia e aver rinunciato a incarichi e prebende, tornano a mettersi in gioco, a dire quel che molti non vogliono dire: i partiti hanno tradito la fiducia dei cittadini, bisogna ricostruire il tessuto politico e sociale del Paese, battersi per la pace e contro le diseguaglianze. Se la fragile primavera che ha contagiato il Mediterraneo è sfiorita nelle faide e nella corruzione, dicono all’unanimità i componenti del Quartetto, è perché si sono indeboliti i campi di forza, gli stessi che lo storico Fernand Braudel teorizzava per condizionare e frenare le degenerazioni del potere. Campi di forza civili, come presidi indispensabili della democrazia, corpi intermedi tra il cittadino e il potere, capaci all’occorrenza di diventare una ciambella di salvataggio alla quale appendere i diritti di tutti. È un tema che ci riguarda, se si vuole ancora dare un senso alla buona politica ed evitare la disaffezione alle urne che diventa l’alleato principale dei dispotismi e dei sovranismi.
Il rischio di accentramento dei poteri e di modifica costituzionale che mette di nuovo in pericolo la fragile democrazia tunisina, ha spinto i leader del Quartetto (oggi con la qualifica di ex) a mettersi a disposizione dei giovani in difesa della democrazia. Il contrasto alla violenza è uno dei principi irrinunciabili: la pace prima di tutto. Ma la lotta alle diseguaglianze è la vera priorità. Quando si è poveri si rischia di essere paralizzati dalle necessità: non c’è democrazia senza pane e senza cultura. Buon lavoro, allora. Il Quartetto del dialogo può insegnare qualcosa anche a noi.

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