La storia di Lucio scoperchia un pozzo con dentro un dubbio

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Possiamo inviare denaro a sostegno di una causa, di un progetto. Gesti generosi, eclatanti, sempre funzionali alla coscienza. Sforzi che non coincidono con una diversa concretezza, che sono altro dal mettere le mani, materialmente, dove è bassa la terra, sporca la superficie, oscura la sofferenza

Si chiama Lucio F. Ha 65 anni, vive a Torino da quando era ragazzo. Professione: medico. Un bravo medico. Racconto qui qualcosa di lui che somiglia a qualcosa che riguarda altri. Appartengono tutti ad una schiera talmente silenziosa da diventare invisibile. Lucio, nonostante manifesti una competenza particolare, una sensibilità fuori dal comune, non ha fatto carriera. Il motivo è semplice: non ha mai chiesto, mai preteso, mai frequentato chi avrebbe potuto agevolarlo. In compenso si è speso. Per dare dignità ai malati, per dare riconoscimento a chi lavora accanto ai medici negli ospedali, per migliorare le comunicazioni con i pazienti e le loro famiglie, troppo spesso confinati in una bolla di incomprensione, vuoi per soggezione nei confronti dei “dottori”, vuoi per superficialità, noncuranza o arroganza dei “dottori” stessi, le cui spiegazioni risultano indecifrabili, per non parlare delle calligrafie. Ai propri pazienti Lucio applica tariffe in base al reddito, chi può paga, chi non può viene curato gratuitamente. Le parcelle: sempre modeste, al pari del conto in banca del loro medico.
Gente così, come Lucio, esiste anche se non compare sui giornali, non manifesta platealmente, non cerca alcuna visibilità e, anche per questo, ogni ricerca di un senso compiuto del fare, rischia di risultare sterile, opaca, non proprio incisiva. Incisiva rispetto a che? è un po’ questa la domanda che si pone Lucio dopo aver subito una sorta di attacco frontale dai propri figli, in numero di due, età 24 e 22 anni. I quali rimproverano al padre di non battersi per cause nobili e magari perdenti, di non denunciare irregolarità nel sistema sanitario, di non esporsi sul tema aborto, di non essere partito per un qualche Paese africano. Di appartenere, in definitiva, ad una maggioranza sempre capace di sguazzare in una condizione confortevole.
Ciò che occupa gli ideali, le speranze, le azioni di Lucio, non compare su alcuna scena. Gesti e convinzioni invisibili, persino per chi vive al suo fianco da sempre. Perché nemmeno lì, in casa, ogni difficoltà come ogni successo non vengono sbandierati. Sono tappe minuscole di un cammino tanto cocciuto quanto riservato. Anche quando determinano cambiamenti rilevanti per centinaia, migliaia di malati.
Racconto questa storia per scoperchiare un pozzo con dentro un dubbio. Questo dubbio credo che riguardi ciascuno di noi, indipendentemente dall’occupazione. è connesso alla coscienza e agli strumenti disponibili per sentirsi parte, per sentirsi attivi e presenti in un universo in cui la comunicazione, ciò che viene “portato in pubblico” offre molte opportunità. Possiamo segnalare una preferenza in un click, indicare un gusto, un’idea, un legame con un’ideologia, aderendo ad una petizione, ad una raccolta firme. Possiamo inviare denaro a sostegno di una causa, di un progetto, di una lotta. Strumenti, appunto. Gesti generosi, persino eclatanti, sempre funzionali, appunto, alla coscienza, alla conquista di una patente. Sforzi che non coincidono con una diversa concretezza, che sono altro dal mettere le mani, materialmente, dove è bassa la terra, sporca la superficie, oscura la sofferenza. Dove abitano le minoranze più abbandonate, trascurate anche perché consuete, così periferiche rispetto alla ribalta da rendere impercettibile un disagio e chi se ne occupa.
Incisivi rispetto a che? La domanda autorizza risposte diverse e induce a una riflessione. Sui nostri propositi, sui nostri limiti, sulle nostre contraddizioni.

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