La strada non presa è quella del rispetto e dell’accoglienza

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La realtà storica di Gesù prescinde dalla fede perché è la testimonianza della cura verso gli altri, dell’ascolto, della pazienza, della disponibilità. Una testimonianza di relazioni e di vissuto senza riserve

Gli echi del Natale sono molti. Ognuno risuona a modo suo, in una orchestrazione di suggestioni per tutti. Basta tendere l’orecchio con giusta intenzione. Con apertura. Così del Natale si colgono parole e istanze non solo cattoliche, non solo per credenti.
La grandezza della ricorrenza è anche questa valenza erga omnes, momento universalmente valido di riflessioni, proponimenti e risoluzioni. è la contemplazione della realtà da una prospettiva al tempo stesso più alta e più dilatata. Allora ci chiediamo cosa dice (a tutti non solo ai fedeli) il bambino Gesù. Cosa ci portiamo dietro e dentro delle considerazioni da Lui propiziate nel momento dell’anno più fascinoso e profondo?
La realtà storica di Gesù prescinde dalla fede perché è la testimonianza della cura verso gli altri, dell’ascolto, della pazienza, della disponibilità. Una testimonianza di relazioni e di vissuto senza riserve. Nel 1955 il monaco trappista Thomas Merton pubblicò il saggio No man is an island – Nessun uomo è un’isola, esprimendo già nella potenza immaginifica del titolo l’impossibilità umana di una vita richiusa, autoreferenziale, trattenuta e sempre sulla difensiva. Facile a dirsi.
Gli ultimi anni ci hanno lasciato sbigottimento e fobie dovute agli shock sociali e psicologici della pandemia e di una guerra alle porte della casa comune europea. Due eventi inattesi e altamente perturbanti. Le nostre fragilità si sono acuite, le distanze si sono amplificate, a partire dall’introduzione nel linguaggio comune dell’espressione “distanziamento sociale” (a contrasto della diffusione del virus).
Ed eccoci, ora, in un discorso pubblico connotato da questioni come il Reddito di cittadinanza e il disagio giovanile, solo per citare due nodi intricati e pure connessi. Sono due aspetti di un problema sociale più vasto. Ci sono cittadini che non ce la fanno e scivolano nei fondali dell’esistenza, nella povertà. Ma ci sono anche quanti approfittano, con deprecabile furbizia e nella consapevole violazione della legge, di aiuti e sussidi. Ci sono giovani che vagano smarriti nel mare magnum degli strumenti digitali dove impera l’illusione di stare insieme quando in realtà si sprofonda nella solitudine riverberata da vacui schermi retroilluminati. Quante responsabilità abbiamo verso chi resta fuori dai circuiti produttivi ed economici. E quante verso i ragazzi, verso il loro attonito smarrimento, verso la loro ricerca di risposte.
Gesù veniva chiamato rabbì, maestro, e questo suggerisce l’intera dimensione irrisolta della didattica, dell’istruzione. Un mondo che stiamo perdendo. Eppure, quanto stiamo facendo per investire sui “maestri”, sugli insegnanti, sulla scuola? Stiamo facendo abbastanza o i ritardi stanno superando la soglia di tollerabilità e soprattutto di non ritorno? Quanto può reggere una società in affanno su così tanti fronti (e così delicati)?
Le soluzioni concrete sono difficili da fornire e fanno tremare le ginocchia. Ma prima di esse e alla base di esse ci deve essere un atteggiamento, una filosofia, un proposito. Che non può essere altro che quello dell’accoglienza, della vicinanza, del rispetto. Solo annullando pulsioni egoistiche a buon mercato si può aprire la strada a quella generosità da cui non si può prescindere per tentare di superare ostacoli assai impervi. La sfida dei nostri tempi è accettabile solo con atti di volontà precisi. Questo significa fare delle scelte. Questo dipende dal non accettare conformismi dettati da facili convenienze e modeste retribuzioni personali. Il poeta americano Robert Frost concluse la sua poesia The road not taken – La strada non presa in questo modo: “Due strade divergevano in un bosco, e io, io presi la meno battuta, e da qui tutta la differenza è venuta”. Una strada forse percorsa proprio con le amiche e gli amici di Scarp de’ tenis!

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