Luigi Malabrocca

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Elogio degli ultimi. Gli applausi per le maglie nere del Giro

Quante volte avete sentito dire che si gareggia per vincere? Uno dei più espliciti, in merito, fu Eddy Merckx. Eddy, gli chiesero, puoi dire in una parola cos’è per te lo sport? «Vincere», rispose lui. Gagner. Altri vi diranno che si gareggia contro gli avversari, ma anche contro se stessi, che il primo obiettivo è migliorarsi. Negli sport di squadra vincono in tanti, negli sport individuali uno solo. Il ciclismo è uno sport di squadra, ma diverso dal calcio , dal basket, dal volley. Dove vincono in tanti. Nel ciclismo conta certamente il lavoro di squadra, dei gregari, ma alla fine è uno solo che passa per primo il traguardo, e se si tratta del capitano designato, del campione, tanto meglio. Il gregario che vince è un’ottima esercitazione di scrittura per le anime belle, ma pubblicitariamente ha un valore relativo. Se uno solo vince, si può perdere in tanti modi: arrivando sul podio, rimanendone esclusi per poco o per molto. Oppure arrivando ultimi, addirittura lottando per arrivare ultimi, quando questo piazzamento, cui spettava di diritto la maglia nera, dava notorietà e quattrini. In questo numero di Scarp racconterò storie vere di maglie nere al Giro d’Italia. Al Giro di Francia si chiamano in un altro modo: lanterne rouge, lanterna rossa che possiamo tradurre con “fanalino di coda”. L’ultimo veicolo del Tour è un camioncino detto camion-balai (scopa) che ramazza i ritirati: si tolgono il numero dalla schiena e sono portati al traguardo.
Al Giro la maglia nera ha vissuto sei anni, dal 1946 al ‘51, e goduto momenti di gloria. È stata riproposta in occasione della cinquantesima edizione del Giro, nel 1967. La portò a casa Lucillo Lievore, ma non era più la stessa cosa. Il colore della maglia ricordava Giuseppe Ticozzelli, calciatore che negli anni ‘20 vestì la maglia di Alessandria, Casale e Spal e anche della Nazionale. In bici indossava la maglia del Casale, nera con una stella bianca sul petto. Corse il Giro 1926 da indipendente. In verità corse le prime tre tappe, nella quarta fu investito da una moto e si ritirò.
Luigi Malabrocca vinse la maglia nera nel 1946 e 1947. Era e resta il più famoso degli ultimi. Nato a Tortona nel 1920, grande amico e conterraneo di Fausto Coppi, era chiamato “il cinese” per gli occhi a mandorla. Ed era, occorre precisarlo, un buon corridore: vinse 138 corse, di cui 15 da professionista. Tra queste la Parigi-Nantes, la Coppa Agostoni, il Giro di Croazia e Slovenia, più due campionati di ciclocross. E al Giro del ‘46 si piazzò quarto nell’ultima tappa, da Mantova a Milano. Fu il primo a capire che vincere, con quella concorrenza, era quasi impossibile, che perdere era sicuro, ma che perdere in modo clamoroso, cioè arrivando ultimo, poteva essere un affare. La maglia nera era nata con l’intenzione di riconoscere dignità anche alla fatica degli ultimi. Un’Italia in ginocchio capiva, si commuoveva e approvava. E premiava l’ultimo con prosciutti, salami, cassette di vino, soldi. Malabrocca era un talento puro nel nascondersi. Dietro una fila di camion, in un fienile, in un bar, in un fosso: voleva restare indietro, doveva restare indietro, ma senza dare nell’occhio, altrimenti si sarebbero fermati anche gli avversari. Una volta si nascose in una specie di pozzo asciutto, ma il contadino se ne accorse. «Cosa stai facendo lì?». «Sto correndo il Giro d’Italia». «Sì, nel mio pozzo. Va via o arrivo col forcone». Andò via. Era il tappone alpino, da scalare Rolle, Pordoi, Campolongo e Gardena. Ma vinse, cioè perse, ugualmente: ultimo nel ‘46 a 4.9’34” da Bartali, ultimo nel ‘47 e 5.52’20”. Quasi due ore in più per staccare gli altri aspiranti alla maglia nera.
Nel 1948 Malabrocca non corre il Giro. L’Edelweiss, la sua squadra, non è invitata. Nel ‘48 la maglia nera finisce sulle spalle di un campione, Aldo Bini, pratese, detto “il monello” per la voglia di scherzare. Molti lo consideravano, da dilettante, più forte del fiorentino Bartali. Rivalità molto accesa. Un giorno, alla partenza d’una corsa, disse: «Ragazzi, guardatemi bene perché scappo al via e mi rivedrete all’arrivo». Dopo 160 km di fuga trionfò con 8’ di vantaggio. Fu un campione: al Giro vinse tappe, portò la maglia rosa, fu secondo nel mondiale del ‘34, vinse giri del Piemonte, di Lombardia, d’Emilia. Nel ‘48 finì ultimo perché in una caduta s’era fratturato una mano, non riusciva a stringere il manubrio, i tratti più duri delle salite doveva percorrerli a piedi. Fu un calvario e, al tempo, una maglia nera non dovuta all’astuzia ma alla sofferenza.
Nel ‘49 torna Malabrocca e si ritrova un avversario nuovo, Sante Carollo. Un errore all’anagrafe, la doppia “l”. Che gli rimase. Vicentino, muratore, capelli rossi, la Wylier lo ingaggiò in extremis per sostituire Magni. Era davvero scarso, già dopo la prima tappa aveva un’ora di ritardo. Malabrocca non sapeva come batterlo. All’ultimo giorno, Carollo ha due ore di vantaggio su Malabrocca, che va in fuga, entra in un bar, mangia e beve, va a casa di un tifoso che gli mostra i suoi attrezzi da pesca, beve il bicchiere della staffa e riparte con due ore e un quarto di ritardo su Carollo, che se ne sta tranquillo in gruppo. Il problema di Malabrocca è che, quando arriva al traguardo, i cronometristi se ne sono già andati attribuendogli il tempo del gruppo, quello di Carollo. Nauseato per questa scarsa sensibilità alla sua arte, Malabrocca si chiama fuori: solo cross, e tanto pesce pescato nel Ticino, quando abitava alla cascina Barbesina di Garlasco.
In quegli anni per regolamento la maglia nera guadagnava più del sesto classificato. Perché faticare per la classifica quando conviene arrivare ultimi? Ci vuole talento, perché un Giro possono vincerlo in pochi, ma tanti finirlo in coda. Nel ‘50 tocca a Mario Gestri, toscano, gregario di Bartali. Il suo compito è portare borracce. Muore a 29 anni, in un incidente stradale. Ma l’assenza di Malabrocca, ciclista assai spiritoso e di bell’aspetto, aveva in un certo senso annacquato l’interesse.
Quando nel ‘51 al Vigorelli viene premiato Giovanni Pinarello detto Nani, trevigiano di Catena di Villorba, c’è solo qualche decina di tifosi a battergli le mani. Ottavo di dodici figli, imbianchino e poi meccanico, sogna di emulare Binda, ma non ne ha i mezzi. Allora fa un ragionamento non nuovo: chi si ricorda del nono o del dodicesimo alla fine? Tanto vale ingegnarsi per arrivare ultimo. Solo lui e Magni, il vincitore, fanno il giro d’onore. Uno in rosa, l’altro in nero. Ma Pinarello sa che durante la guerra Magni era con le Brigate nere, e gli butta lì un “ti piacerebbe fare cambio, eh?” che ha come risposta solo un’occhiata di traverso. Nel ‘52 Pinarello farebbe volentieri il bis, ma la Bottecchia all’ultimo minuto lo sostituisce con Fornara e gli fa trovare una lettera di scuse e un assegno da 100 mila lire per addolcire la pillola. Nani intasca e le usa per aprire una fabbrica di bici che diventeranno simbolo del miglior made in Italy. Le useranno da vincenti Bertoglio, Battaglin, Chioccioli, Indurain, Ullrich, Petacchi, Valverde, Cavendish, Wiggins, Froome. E nel suo ufficio, davanti alla scrivania, fino al giorno della morte (a 92 anni, nel 2014) Nani terrà in cornice la maglia nera del ‘51, considerata l’inizio della sua fortuna. Nel ‘52, sostituzione a parte, non avrebbe potuto fare il bis perché la maglia nera era stata tolta dalla circolazione. Ma attenzione: al Giro d’Italia 2017 per Under 23, partito il 9 giugno da Imola, la maglia nera è tornata in corsa. Sponsor Pinarello. L’ha deciso il figlio di Nani, Fausto, che non per caso si chiama Fausto.

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