Milano capitale del Daspo

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Un tema di non facile lettura

Te la sei presa allo stadio con uno degli stuart, in questo caso una ragazza, e le hai urlato, dopo qualche insulto, un minaccioso: «Ti butto di sotto?». Bene, per due anni non metterai piede negli stadi. Hai aggredito un passante, che ti ha inseguito, e sei stato preso nella solita zona della movida, dove altri razziatori sono al “lavoro”? Era già capitato che ti dessi da fare intorno a bar, discoteche e drink? Perfetto, per due anni non metterai piede in nessun locale pubblico della provincia di Milano, se vuoi un caffè devi andare a Monza.
Questo è un nuovo metodo d’intervento e Milano è, da mesi, la città italiana che ha il record assoluto di questi allontanamenti. Il tema non è di facile lettura, il confine tra la prevenzione dei reati e la repressione si assottiglia. Di certo, il meccanismo è semplice e micidiale.
All’origine di tutto c’è il Daspo sportivo. Daspo uguale a “Divieto di accedere alle manifestazioni sportive”. Era nato nel 1989. Impediva e impedisce ai tifosi violenti e agli habitué dei cosiddetti “delitti di folla” di entrare negli stadi. Oggi in pochi ricordano i morti da tifo, dal tifoso dell’Ascoli inseguito e sprangato da tifosi milanesi nerazzurri in trasferta, al tifoso della Lazio ucciso da un razzo sparato dalla curva dei romanisti. E pochi ricordano risse, accoltellamenti, sparatorie: talvolta si riaccendono, ma il Daspo ha tranquillizzato (sottomesso?) i peggiori teppisti da stadio.
Seguì nel 2017 il Dacur, che vieta l’accesso alle aree urbane e ai locali pubblici. Infine, il cosiddetto Daspo Willy, chiamato così in memoria del giovane ammazzato di botte a Latina e ha potenziato il raggio d’azione del questore. Alla sezione anticrimine di via Fatebenefratelli, dove a suo tempo era stato valorizzato il protocollo Zeus, contro i molestatori e gli stalker, lavorano a ritmi elevati. Sono quelli che fanno terra bruciata intorno a chi ci toglie un po’ di sicurezza e di libertà di girare. Sono una sorta di braccio operativo del questore e cercano di mettere su strada il concetto di sicurezza integrata. Viene definita così nei decreti legge, coinvolge i Comuni e le forze dell’ordine, tutti uniti nella lotta a chi rende le città e i paesi meno vivibili. Insomma, richiamati “alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali”.
Parole vane? Tanto non ubbidisce nessuno? La legge prevede che se uno, per esempio, ha ricevuto quest’ordine di non entrare più nella Stazione Centrale e viene beccato, può prendere sia un prolungamento delle pene in carcere (da 6 mesi a 2 anni) sia una multa salata (da 8 mila a 20 mila euro). E a Milano sembra che a non ubbidire sia appena un venti per cento. Ed è così, colpendo anche la mobilità di chi ha commesso reati, che si stanno contrastando le gang giovanili e chi tira a sera provando a organizzare agguati nelle zone più affollate, per strappare collanine, cellulari, orologi, portafogli. Ma non solo.
Viene fermato quello che chiameremo Y nella stazione di Rogoredo. Stando al rapporto di polizia, continuamente chiedeva “offerte di denaro ai viaggiatori in transito in modo insistente e molesto”: per un anno ha il divieto d’accesso a Rogoredo e anche nei parchi intorno. Poco dopo viene bloccato H, che “impediva la libera fruizione di corso Vittorio Emanuele” molestando i clienti dei negozi: per un anno non può oltrepassare l’area della Cerchia dei Navigli. Qui il confine tra elemosina e molestie può farsi complicato, ma anche le pattuglie sono state avvisate: bisogna saper distinguere. Al momento non abbiamo segnalazioni di abusi e sappiamo che chi ha fatto ricorso al Tar, perché l’allontanamento è un atto amministrativo, ha perso. Non siamo al livello di alcune città inglesi, che caricano sul treno chiunque non abbia un tetto (e di solito, il ritorno avviene poco dopo, con un treno in direzione opposta). O non abbiamo idee sconcertanti, come trasportare chi non ha i documenti in Ruanda. Anzi, si dice che i ragazzi “daspati”, se vivono in famiglia, e temono che una multa da 20 mila euro li colpisca, non raramente escono dal giro peggiore. Stiamo a vedere. Sappiamo che tante volte le manette non servono, questo tipo di divieto sociale forse può far ragionare di più. Forse.

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