Milano, città per soli benestanti?

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La città si guarda allo specchio

Affitti a caro prezzo, lavoro sottopagato, costo medio della vita enogastronomica, rendono Milano sempre più adatta ai benestanti e difficile per chi si trova in un momento complicato. Il Covid-19
ha tolto il velo

Il concerto di una radio in piazza Duomo, con 15 mila persone in più del previsto. La festa dello scudetto, altri 100 mila. E poi Vasco Rossi, oltre 80 mila dove correvano i cavalli del Trotto e i fari della pista illuminavano il canino d’acciaio di don Tanino Fidanzati, boss delle scommesse (e non solo). C’è una Milano che esce, arrivano i turisti, i taxi tornano a essere introvabili. Ma, accanto a questa Milano festaiola, scorre la Milano che si è fermata: si sta guardando allo specchio e non si riconosce più.
Per “tirare a campare” (usiamo un termine non sociologico, o forse non ancora accademico, ma chissà) a una famiglia servono circa 2 mila e 300 euro al mese. Ecco, ma chi ce li ha?
Affitti a caro prezzo, lavoro sottopagato, costo medio della vita enogastronomica, rendono Milano sempre più adatta ai benestanti e difficile per chi si trova in un momento complicato. Il Covid-19 ha tolto il velo. Come mai non si trovano più camerieri? Molto semplice: chi lavorava a chiamata prima della pandemia guadagnava bene, anche oltre i 2.500 al mese. Con bar e ristoranti chiusi, l’esercito di chi sa servire caffè, risotti e gelati ha fatto i conti con il suo precariato e con gli orari pesanti di chi lavora quando tutti sono in festa: durante le vacanze, la domenica, la sera.
S’è accorto che può guadagnare meno e stare più in famiglia. Ha cambiato scenario, non pochi sono nell’edilizia, altri nelle consegne a domicilio. Se baristi e ristoratori non studiano un modo per rispettare di più le persone che lavorano, quei camerieri non torneranno più indietro: e se il reddito di cittadinanza può avere le sue responsabilità negative, andrebbe detto chiaro e tondo che nell’Europa dei diritti bisogna creare un salario minimo, tale che permetta ai cittadini di non essere espulsi dalle case perché non ce la fanno più a sbarcare il lunario.
La pandemia ci ha fatto riscoprire un fardello che dovremmo affrontare: la denatalità italiana. Se non hai soldi, ci pensi due volte prima di fare un secondo o un terzo figlio. Se non vedi un futuro di lavoro, ci pensi quattro volte prima di mettere al mondo un disoccupato.
Trent’anni fa era emersa la corruzione politica, Tangentopoli appariva come l’abisso. La classe politica e i partiti storici – Dc, Psi, Pli eccetera – erano stati spazzati via non solo per le accuse e i processi, ma anche per il deficit di credibilità. Il Pci aveva cambiato nome. Ma, contando i tre decenni che sono passati, e Silvio Berlusconi, Romano Prodi e Matteo Renzi e via elencando, c’è qualcuno che ha reso le città più abitabili e invertito concretamente il senso di sfiducia? Facile annunciare “meno tasse per tutti” e girarsi dall’altra parte: come quando vediamo quelle gigantesche code per mangiare alle mense laiche o religiose, quando frati ma anche iman raccontano di quante persone in più vengano sostenute, quando sentiamo degli sforzi della Caritas per pagare le bollette di chi non ce la fa.
Ci rendiamo davvero conto di quello che significa? Nel senso che va benissimo distrarsi, ascoltare musica, festeggiare scudetti, ma c’è questo domani della fatica di “tirare a campare” che qualche volta sembra lontanissimo, qualche volta invece ci cade addosso come un macigno. Le città svuotate dal carovita sono un nemico collettivo, paradossalmente nell’universo politico non pochi sindaci lo sanno e li si vede in trincea, ma segretari di partito e sindacati lanciano l’allarme e poi?
È questo il tema: “noi” che non comandiamo lanciamo l’allarme, e la buona politica dà risposte. Dovrebbe dare risposte. Rispondere anche a chi chiede: “Come vivo a Milano con 900 euro al mese?”.

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