Nella selva amazzonica come a Catania Claudia costruisce giocattoli

Facebook
Twitter

Figlia di un insegnante di scultura e di una biologa, un fratello produttore musicale, Claudia, 39 anni,
ha cominciato a fabbricare giocattoli fin da bambina: su istruzione del padre, lei e suo fratello si costruivano da soli quel che desideravano. «Un’educazione da Unione Sovietica», ride adesso

Tra i mestieri che permettono di girare il mondo, Claudia Barone ha scelto forse il più divertente, certo il più insolito: costruire giocattoli. Li ha fabbricati nella selva amazzonica, insegnando ai nativi, giovani e adulti, come usare il legno dei disboscamenti illegali. E li costruisce adesso nella sua città, a Catania. La chiamano nelle scuole perché insegni anche ai bambini, dai tre ai sette anni, come fare. Quando arriva nelle aule e deposita sui banchi seghe e lime, martelli, chiodi e viti, i grandi sobbalzano, ma i bambini si mettono subito al lavoro. Lei li chiama i fale-gnomi.
Figlia di un insegnante di scultura e di una biologa, un fratello produttore musicale, Claudia, 39 anni, ha cominciato a fabbricare giocattoli fin da bambina: su istruzione del padre, lei e suo fratello si costruivano da soli quel che desideravano. «Un’educazione da Unione Sovietica», ride adesso.
Mai avrebbe pensato che quel divertimento sarebbe diventato il suo lavoro. Anche perché, dopo la maturità al liceo artistico, la laurea in scienze politiche e un master in progettazione europea, pensava di dedicarsi ai servizi sociali: «Da studentessa insegnavo l’italiano agli stranieri; dopo, per tre anni ho lavorato, a progetto, con Comuni e comunità. Ma le spese di casa si pagano ogni mese e i soldi dei progetti arrivavano, se andava bene, due volte l’anno. Così ho pensato di vendere i miei giocattoli nei mercatini: è durata un anno, ma non mi sentivo contenta».
A quel punto Claudia prende il volo: letteralmente. Se ne va in Ecuador, in una comune nella selva di Tena, per lavorare a una tesi in antropologia. Tra Quito e l’Amazzonia si occupa dei bambini vittime di violenza. E grazie a un crowdfunding riesce a realizzare un laboratorio di falegnameria. Funziona talmente bene che l’università di Tena le offre una cattedra in design del giocattolo. Torna a Catania per rinnovare il visto e scopre che la cercano asili e scuole materne per ingaggiarla (a partita Iva, s’intende) perché insegni ai bambini come lavorare il legno. E lei, che per il legno ha una passione, declina l’offerta ecuadoriana e accetta di restare in Sicilia.
Oggi fabbrica giocattoli su ordinazione: «Mi arrivano email, telefonate, le più toccanti sono di persone che vogliono che trasformi il loro dolore in un giocattolo: qualcosa che si può smontare, con cui si può giocare, e soprattutto che possegga bellezza». Organizza anche corsi per adulti: «Ci riuniamo in cinque o sei; si parte da sconosciuti e si arriva a condividere confidenze preziose».
Talvolta i suoi giocattoli li fabbrica su ispirazione, quasi solo per sé.
Le è successo, ad esempio, quando ascoltò il discorso di Liliana Segre sulla Shoah. «Rimasi colpita da un’immagine: quella della farfalla gialla che volava sul filo spinato del lager». La trasformò in un carillon che, un anno dopo, per una serie bizzarra di circostanze, venne recapitato a casa Segre e le fruttò un invito della senatrice a Milano. «Ho iniziato a piangere quando mi ha aperto la porta e non ho più smesso». Grata del dono, Liliana Segre le ha confidato: «Tutto quello che mi è successo non mi ha tolto la voglia di giocare».
Claudia concorda. E rilancia: «Prendiamoci tutti meno sul serio e giochiamo un po’ di più».

Leggi di più

Gli ultimi articoli

Gli argomenti più seguiti