Patrice Evra

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Dalla strada alla Juve sempre a testa alta

Patrice Evra è nato a Dakar nel maggio 1981 e ha fatto un piccolo giro del mondo. Padre senegalese ma originario della Guinea, madre di Capoverde, quando Patrice ha tre anni la famiglia si sposta a Les Ulis, nella banlieue parigina. Cresce in strada, gioca a palla nei parcheggi. Da calciatore affermato, dirà che la scuola della strada gli è servita: si impara a dare e ricevere rispetto, a reagire alle prepotenze.
Dakar-Parigi-Torino-Marsala-Monza-Nizza-Monaco-Manchester-Torino. Questo è il viaggio di Patrice. Quando è nelle giovanili del Paris St. Germain lo nota un talent scout italiano, Salvo Lombardo. Lo porta al Torino, poi lo dirotta al Marsala (serie C). Lì almeno è sicuro di giocare. Patrice ha 17 anni, gioca esterno d’attacco nel 4-3-3 dell’allenatore Cuttone. Non ha un fisico impressionante (1.73x72kg) ma è molto veloce e tecnico. «Di Marsala ho bellissimi ricordi. Ero il figlio di tutti. Mi chiamavano dal balcone e m’invitavano a mangiare». Del ragazzino veloce che gioca a Marsala si comincia a parlare anche nei quartieri alti del calcio italiano (Empoli, Lazio, Bologna, Milan e Juve) ma Evra viene ceduto al Monza. Dove gioca pochissimo in prima squadra: 3 sole partite. Frosio, l’allenatore, non lo valuta all’altezza: poco fisico, poca esperienza.
A questo punto, disilluso e amareggiato, un ragazzo potrebbe perdersi. Evra no. Rifà le valigie, destinazione Nizza, in apparenza bocciato dall’Italia, ma un po’ d’Italia la trova anche a Nizza: italiano il presidente, Sensi, italiano l’allenatore, Salvioni, che fa una mossa decisiva per la carriera di Evra: gli cambia ruolo. Sempre a sinistra, ma terzino. Da terzino, che sa crossare molto bene per gli attaccanti, Evra s’impone nel Monaco e passa al Manchester United, da sir Alex Ferguson. Nel frattempo, è anche capitano della Nazionale francese che durante il mondiale 2010 si ribella al tecnico Domenech. La ribellione parte da Anelka ma è Evra, come capitano, a esporsi per tutti. Si esporrà da solo denunciando gli insulti razzisti di Suarez (il morsicatore di Chiellini in Brasile) in una partita tra Liverpool e United. Al rientro di Suarez dalla giusta squalifica, Evra gli porge la mano e Suarez la rifiuta, così si capisce una volta di più da che parte stava il torto.
Ora Evra gioca nella Juve. In una delle prime interviste ha detto: «Mi sento un essere umano, non un africano né un francese, non un nero o un bianco o un giallo. Non ho radici, non so dove andrò a vivere quando smetterò di giocare. Sono felice, era destino che tornassi in Italia».
Il viaggio, per ora, fa tappa a Torino. Ma Evra non dimentica la Centrale di Milano. Doveva andare a Norcia, dov’era in ritiro il Marsala. Da un’intervista a Emanuele Gamba, di Repubblica: «Non capivo niente, le scritte sui tabelloni cambiavano di continuo, non parlavo una parola d’italiano, non avevo telefono. Mi sedetti a terra e mi misi a piangere. Un senegalese mi raccolse, mi portò a casa sua, mi diede da mangiare, mi fece dormire in una stanza con altri cinque immigrati e la mattina dopo mi caricò sul treno giusto».

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