Reddito di dignità

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Furbetti, fannulloni, gente pagata per stare sul divano invece che cercarsi un lavoro. Alzi la mano chi non ha mai letto o sentito uno di questi aggettivi legati a coloro che, loro malgrado, percepiscono il Reddito di cittadinanza. Eppure questa misura di ridistribuzione della ricchezza, nonostante necessiti di correttivi importanti, è stata fondamentale soprattutto nel periodo post pandemia. Ha garantito la sopravvivenza di quasi tre milioni di connazionali che, grazie a questo contributo, sono riusciti a condurre una vita “normale”, non fatta solo di difficoltà e proccupazioni. Tante le correzioni da apportare, dicevamo, necessarie per ampliare la platea di persone che possono accedere a questa misura visto che, allo stato attuale, molti nuclei familiari che vivono al di sotto della soglia della povertà ne sono rimasti esclusi, per motivi burocratici o per l’eccessiva rigidità dei criteri di accesso. Viaggio di Scarp tra chi, grazie al Reddito di cittadinanza, ha riacquistato la dignità e la voglia di andare avanti

Dici Reddito di cittadinanza e subito ti vengono in mente decine di servizi televisivi o di titoli di giornali dedicati ai “furbetti”, casualmente quasi tutti al Sud Italia, che percepiscono i fondi senza averne diritto. A tre anni dalla sua introduzione – Governo Conte I a maggioranza Cinque Stelle e Lega Nord – pochi argomenti sono stati capaci di dividere l’opinione pubblica come il Reddito di cittadinanza. La coalizione di centrodestra, addirittura, ha fatto della sua abolizione uno dei suoi cavalli di battaglia durante la campagna elettorale. Per poi accorgersi che, senza questa misura, non esisterebbero molte altre alternative per far arrivare a fine mese moltissimi connazionali, e trovandosi così costretta ad annunciarne una semplice revisione. «Fughiamo subito ogni dubbio – esordisce Nunzia De Capite di Caritas Italiana – il Reddito di cittadinanza è un’ancora di salvezza per milioni di famiglie. Tanto più in un Paese come il nostro con un’alta percentuale di lavoro sottopagato e milioni di persone che vivono al di sotto o appena sopra la soglia di povertà. Per far capire di cosa stiamo parlando basterebbe ricordare che buona parte dei percettori hanno o hanno avuto un’occupazione, spesso precaria, che però non garantisce loro uno stipendio che sia in grado di poter condurre una vita dignitosa. Se a queste persone aggiungiamo il numero di chi, e sono quasi un terzo del totale, risulta essere del tutto o parzialmente inabile al lavoro, possiamo comprendere quale sia la reale portata di questo intervento».
Una misura fondamentale, dunque, per oltre 3 milioni e mezzo di nostri connazionali che in assenza di questo aiuto (non pensate a chissà quali cifre, l’importo medio mensile nel 2022 è stato di 552 euro), non avrebbero saputo come arrivare a fine mese. Eppure qualcosa non ha funzionato. Le criticità ci sono e sono state ben documentate in questi anni dagli operatori del terzo settore che, a più riprese, ne hanno chiesto la revisione.
«Uno dei problemi maggiori – continua Nunzia De Capite – è stato quello di voler sovraccaricare di obiettivi una misura che dovrebbe essere uno strumento di ridistribuzione della ricchezza. Gli estensori del provvedimento hanno invece voluto legare l’intervento di contrasto alla povertà con le politiche di ricerca attiva del lavoro. Se sul fronte della lotta alla povertà la situazione è abbastanza fluida, anche se non mancano i problemi di ordine burocratico, le difficoltà di tradurre in pratica le segnalazioni e le offerte di posti lavoro sono state chiare fin da subito. Non a caso solo un numero molto esiguo di percettori del Reddito sono rientrate nel mondo del lavoro grazie alle segnalazioni, con buona pace delle ottimistiche previsioni della vigilia che prevedevano la creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro. E questo succede perché le regole fissate dalla legge sono molto complesse, basti pensare alla distanza massima di percorrenza o numero di chilometri da compiere con mezzi pubblici che un lavoratore può effettuare per raggiungere un eventuale posto di lavoro, o al fatto che in …

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