Record di approdi sulle nostre coste: la politica va in tilt, e si lascia guidare dalle drammatizzazioni a scopo di consenso. Il governo decreta ricette già viste all’opera nel recente passato. Invece sarebbe
il momento di avviare una politica migratoria generosa e pragmatica, comunque strutturale.
Ma bisognerebbe partire da presupposti diversi dalla propaganda…
Il futuro l’abbiamo già visto. E non ha funzionato. Perché si è nutrito delle stesse esasperate drammatizzazioni (con parole meno eleganti, si potrebbe dire “bugie”) che sentiamo nuovamente risuonare oggi. Drammatizzazioni funzionali a guadagnare o gestire consenso, non a risolvere problemi oggettivamente epocali (stabilito che peraltro ogni epoca ha le sue, di sfide da affrontare).
Soprattutto, il futuro che oggi ritorna ha violato, in passato, e continua a violare i diritti elementari di decine di migliaia di persone. Ma, nell’infuocato dibattito odierno, quest’ultimo appare un dettaglio. Come se stessimo parlando di numeri, oggetti astratti da comprimere, mica di persone concrete, da considerare fratelli…
E insomma per provare a gestire l’emergenza mediatica causata dal picco di sbarchi sulle coste italiane, il governo attuale dichiara e decreta nella sostanza che: a) potrebbero arrivare dall’Africa sulle coste italiane ed europee milioni di migranti; b) per far fronte a tale scenario occorre militarizzare il mare con una missione Ue; c) bisogna incrementare la capacità di rispedire al Paese mittente chi è entrato illegalmente in Italia, affidando all’esercito la costruzione, in zone remote della Penisola, di nuovi Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr).
Opportunità da cogliere
Ora, non le avessimo già sentite e sperimentate, queste proposte, potremmo anche crederle fondate e sensate. Ma l’allora Ministro dell’interno Bobo Maroni dichiarò, nel 2011, a giustificazione dell’inasprimento delle norme sull’accoglienza dei migranti, che di lì a poco stavano per arrivare “un milione e mezzo” di clandestini: invece in un decennio, e solo grazie a questo 2023 da record, sono sbarcati in Italia poco più di un milione di persone, in gran parte poi direttesi in altri Paesi d’Europa.
Quanto alla missione Ue, è notorio che, stando al diritto internazionale, dovrebbe essere anzitutto di salvataggio in mare, mai di respingimento: sostanzialmente affondata nel 2019 dall’allora Ministro Matteo Salvini la missione Sophia, resta da capire con quali partner, quali mezzi, quali risorse economiche e quale mandato si vorrebbe oggi attuare una nuova misura.
Infine i rimpatri, notoriamente difficili da praticare: nel ’22 dall’Italia sono stati poco meno di 4 mila; un loro incremento anche rilevante produrrebbe esiti irrisori (rispetto al numero di ingressi) e viceversa costi ingentissimi, sia economici (i Cpr sono strutture a gestione privatizzata, e per farli funzionare si spendono già oggi decine di milioni di euro all’anno), sia e soprattutto umani (nei Cpr vengono detenuti individui che non hanno commesso reati, per di più in condizioni che diverse fonti, pubbliche e private, hanno documentato come lesive dei più elementari diritti umani).
Domanda finale: invece di rifugiarsi in un futuro già fallito nel passato, non sarebbe meglio cominciare a organizzare nel presente agenzie, strutture, fondi, reti di collaborazione, insomma politiche migratorie ad un tempo generose e pragmatiche, e soprattutto strutturali? Certo, bisognerebbe partire dall’ammissione che il fenomeno migratorio va governato, disciplinato e accolto come sfida e opportunità cruciale e – appunto – strutturale dei nostri tempi, e non demonizzato, contenuto e respinto. Ma aderire alla realtà, anziché alla propaganda, è uno sforzo complesso, che alla fine converrebbe a tutti.