Storia di Maria. Storia di una fede salda e di una restituzione

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Maria comunica, si dedica, si occupa degli altri. Lavora. Che si trovi dentro un convento o in un campo arato, le ragioni che hanno determinato i suoi passaggi, restano escluse da ogni scenario, non hanno mutato il suo fare

Si chiama Maria. Il cognome non ha importanza, al contrario del nome di battesimo, una sorta di preludio. Maria ha ora “una certa età”, come si dice per quelli come me, over sessanta, diciamo così. Età che porta con una leggerezza bella a vedersi, trasportata da una fede profonda. Servirebbe una lunga parentesi adesso per approfondire il significato della parola fede, intesa come fiducia. Nulla che può confinare una religione perché si tratta di qualcosa che riguarda l’altro, l’umanità. Propria e altrui.
Maria è stata una figlia vivace, una studentessa brillante. Decise allora, negli anni dell’università, di seguire la propria vocazione. Suora. Clausura. Clarisse. Un viaggio senza esitazioni, così determinato e motivato da sterilizzare le resistenze dentro la propria famiglia. Una famiglia cattolica, certo. Ma non è mai facile, da genitore, accettare una scelta che cambia tanto profondamente le modalità delle relazioni, una separazione conclamata, il senso misterioso che viene dalla dedizione assoluta alla preghiera.
Una scelta che, tra l’altro comportò la rinuncia definitiva ad ogni beneficio economico. Ciò che le sarebbe spettato dalla propria famiglia venne quindi donato a chi di un sostegno aveva bisogno, più di lei, ovviamente, certa com’era di poter contare su risorse interiori talmente solide da trattare con indifferenza ogni bene materiale. Stiamo parlando di una donna dotata di una determinazione molto marcata. Ciò che l’ha sostenuta lungo un percorso arduo; che l’ha portata dall’Italia alla Francia, poi di nuovo in Italia. Molte energie destinate allo studio, all’approfondimento di testi, alla riflessione sul ruolo proprio e dell’Ordine al quale apparteneva. Divenne badessa. Una vera guida illuminata non soltanto all’interno della propria comunità. Tempo dopo – come accade quando la riflessione è lucida, serena, incondizionata – entrò in conflitto con la propria casa, con la Chiesa. Il tema centrale: la condizione della donna dentro quel sistema. Dentro la propria cultura. Una criticità connessa a una discriminazione atavica, complessa, trascurata.
Dentro la Chiesa si è battuta. Con acume e rispetto. Ma anche con fermezza. Sino a decidere di uscire dal convento. Ha abitato in un eremo, accogliendo e sostenendo viandanti, anime in cerca di una destinazione. Ha cominciato a lavorare come contadina continuando a studiare, a tradurre, a scrivere, senza mai un accenno alla propria battaglia. Perché la fede, la sua, è rimasta salda al punto da mettere tra parentesi ciò che ha determinato ogni decisione.
Maria comunica, si dedica, si occupa degli altri. Lavora. Che si trovi dentro un convento o in un campo arato, le ragioni che hanno determinato i suoi passaggi, restano escluse da ogni scenario, non hanno mutato il suo fare. è diversa la destinazione, senza più i muri di un convento di clausura. è diversa l’intenzione, una volta deciso che quella condizione comportava contraddizioni talmente fonde da dettare una virata verso l’esterno. Intima e personale.
Perché racconto questa storia? Perché si tratta di una sorta di restituzione. Maria, la stessa Maria, si muove nel mondo ed è preziosa per chi la incontra. E poi perché il suo percorso pone qualche domanda inevasa. A proposito della condizione della donna dentro la Chiesa. Non se ne parla, non se ne parla quasi mai, persino ora. Il viaggio di Maria continua nel silenzio. Ma rimanda l’eco di una voce che – mi permetto di dire – nel mondo cattolico andrebbe accolta, ascoltata a costo di mettere in campo qualche contraddizione, il vento che circola, senza ostacoli, nell’universo.

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