Storie di bravi maestri

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Viaggio di Scarp alla scoperta dello sport praticato nelle palestre popolari, sui ring di periferie difficili e dentro le carceri grazie alla forza e alla volontàdi persone speciali. Maestri di vita, che insegnano dal centro di un ring o su un tatami, come affrontare la vita a viso aperto e a rialzarsi quando si cade al tappeto. Rispettando se stessi e gli altri

Il 2005 è l’anno della svolta per Mario Bambini, ex pugile e oggi maestro di boxe. Lui la racconta a modo suo, con quella spontaneità che forse gli viene dal cognome. «I miei figli erano andati via di casa, non avevo più nessuno a cui dover dare da mangiare, a parte me. Allora posso fare quello che voglio, mi sono detto. Ho lasciato il lavoro in pizzeria che facevo da una vita e ho cominciato a fare il maestro di boxe: fino ad allora lo ero stato solo nei ritagli di tempo, con poche energie. Insegnare pugilato ai ragazzi era il mio sogno, adesso l’ho realizzato».
Boom boom Bambini è il nomignolo che gli diedero i compagni di boxe quando era un ragazzo – è stato un pugile dilettante (otto incontri, cinque vittorie e tre sconfitte, racconta) –. Mario ha iniziato il percorso pugilistico nella mitica palestra Doria, a Milano, da giovanissimo. Alla Doria ha avuto come maestro (el maester, in dialetto milanese) Ottavio Tazzi: il Nonno, così lo chiamavano gli allievi con rispetto. «Era più di un allenatore – ricorda Bambini –. Era davvero un maestro di vita, una guida sicura non solo sul ring, ma anche e soprattutto fuori da quel quadrato magico. Di quei maestri che ti insegnano a stare in guardia non solo con l’avversario, ma nella vita; a proteggere il mento e il cuore, a rialzarti dopo i ko più duri, quelli che ti lasciano cicatrici nell’anima. I suoi campioni li andava a pescare negli angoli delle strade, nei quartieri, nelle vie più oscure di Milano».
Mario Bambini racconta la sua storia nel libro, A bordo ring (Infinito edizioni) che ha scritto insieme all’amico Dario Ricci, giornalista sportivo a Radio24, appassionato di pugilato e di storie difficili.


L’accademia pugilistica
Quando Ricci ha conosciuto Mario Bambini, il maestro lavorava part-time, dal 1995, nella palestra di Affori, Sport Prevenzione e Salute, che poi ha chiuso. Ricci pensò che sarebbe stato bello aprire insieme un’altra palestra di pugilato, sempre ad Affori, periferia inquieta di Milano. E un giorno, boom boom Bambini glielo ha proposto sul serio: c’erano dei locali che si liberavano ed erano adatti per diventare una palestra di boxe. Ma bisognava investirci tempo e denaro, senza avere certezze sul successo dell’iniziativa.
«Mi sono guardato allo specchio – racconta Dario Ricci – e mi sono detto che era un bel progetto e, per me, l’occasione per fare qualcosa di utile per la città che mi ha accolto da quando sono arrivato a Milano da Roma». Così, Ricci è diventato il presidente dell’Accademia Pugilistica Afforese che ha aperto le porte nel giugno 2021, in piena pandemia. Qui, Mario Bambini, è maestro di boxe a tempo pieno e direttore sportivo del centro. Pur avendo aperto da pochi mesi, l’Accademia è già frequentata da tanti ragazzi e ragazze che si allenano con lui, lo cercano per chiedergli consigli, qualcuno per confidarsi: piano piano gli aprono il cuore.
Ad affiancare Mario Bambini c’è anche Valerio Armani: «Valerio – dice Bambini – è eccezionale con i più piccoli, dai nove anni cominciamo ad accoglierli in palestra e lui ha un taglio da educatore, più che da boxeur». Boom boom Bambini vive il suo mestiere di allenatore come una missione pedagogica: «Lo sport è secondario, è fondamentale parlarci con questi ragazzi. Hanno bisogno di sentirsi considerati perché spesso fuori di qui, non lo sono. Io ascolto. Tirano fuori tutto, giorno dopo giorno, qualcuno è più chiuso, ci mette di più, ma se si sentono ascoltati, la confidenza poi arriva».


Maestro di vita
Le ragazze e i ragazzi che frequentano l’Accademia hanno fra i 16 e i 22 anni. «è l’età più difficile. Arrivano qui che sono molto fragili. Qualcuno ha preso strade sbagliate: non ce la fai sempre a rimetterli su quella giusta. Hanno molta rabbia, dentro. Si sentono esclusi, si sentono sbagliati. Io cerco di dire loro che qui hanno una chance, non per diventare campioni, ma uomini o donne: perché io non li lascio soli».
Mario è un omone che porta sul viso e sul corpo i segni della vita. A dispetto del suo aspetto, ha un’anima gentile. «Prendo i soldi per fare il maestro di pugilato solo perché ci devo anche mangiare, altrimenti lo farei gratis perché per me non è un lavoro, ma la cosa che volevo fare. Insegnare il pugilato può cambiare la vita di un ragazzo, di una ragazza, e chi cerca il pugilato non lo fa per fare sport, o per diventare campione: quello se arriva, viene dopo. Il pugilato è sempre stato per quelli che sono più vicino alla strada, che hanno tanta rabbia dentro. In realtà, qui, il pugilato lo considero quasi secondario. Mi interessa fargli sentire che non sono persi, che c’è qualcuno a cui loro interessano. Il maestro di boxe per me è prima di tutto questo. Se poi capisci che un ragazzo o una ragazza ha delle chance, ben venga. Ma non è fondamentale in quello che faccio».
Oggi è spesso così la boxe. Non sempre, certo. Lo abbiamo visto nelle cronache: ci sono anche persone senza scrupoli che quella rabbia la coltivano e allenano alla violenza e alla cultura del nemico. Però, sono i maestri come Mario Bambini a essere riconosciuti come tali dalla federazione pugilistica italiana. Lo spiega molto bene Vittorio Lai, presidente della Federazione, nella prefazione di A bordo ring: «Il tecnico è innanzitutto un educatore che ha un compito non facile: creare prima uomini e donne, poi atleti. L’aspetto valoriale e umano è il presupposto fondamentale per diventare un pugile. Quando si insegna nelle palestre questo è il segno distintivo della nostra disciplina».


Donne e pugilato
Boom boom Mario lo dice chiaramente: «Ero pieno di pregiudizi sul pugilato fatto dalle donne. Lo ammetto, la boxe femminile non mi era mai piaciuta. Poi ho incontrato Lisa». Della sua allieva Mario Bambini è orgoglioso. Entrata in palestra chiusa come un riccio, pian piano la giovanissima pugile si è aperta e ha iniziato con il suo allenatore un rapporto di confidenza e fiducia.
«Abbiamo imparato a conoscerci; Lisa si allenava con costanza e determinazione, con una serietà non comune. Pian piano ho abbattuto tutti i miei pregiudizi sulla boxe femminile. Intanto, ad ogni allenamento capivo che Lisa aveva un talento non ordinario». Lisa ha combattuto nella categoria 57 chilogrammi raggiungendo traguardi importanti. Nel frattempo, la trasformazione di Mario Bambini era avvenuta: le pugili donne adesso sono più di una nella sua palestra e a loro il maestro guarda con molta fiducia e altrettanto rispetto.

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