Sulla pace dobbiamo recuperare capacità di elaborazione e visione

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La guerra ci interpella in modo nuovo, in profondità. Imponendoci anzitutto il dovere del soccorso a chi è ferito, a chi deve fuggire, a chi ha perso casa, beni, parenti, conoscenti, e teme di aver perso anche il futuro. Ma questo soccorso va sviluppato in modo avveduto, intelligente, rispettoso, non estemporaneo

La guerra. Praticamente in casa nostra. Alle porte della nostra comune casa europea. Fuori dai radar mentali ed emotivi di intere generazioni, da almeno sette decenni. Eppure ci siamo in mezzo. E mentre ci misuriamo con i sentimenti sconvolgenti che il conflitto in Ucraina suscita (la rabbia per l’aggressione, la pietà per le vittime, l’ansia per la sorte di milioni di indifesi), siamo chiamati a riflettere anche su di noi. Sulle nostre prassi di aiuto. Sulla nostra cultura dell’emergenza. Sulla nostra vocazione all’accoglienza. Sul nostro concetto di pace.
La guerra ci interpella in modo nuovo, in profondità. Imponendoci anzitutto il dovere del soccorso a chi è ferito, a chi deve fuggire, a chi ha perso casa, beni, parenti, conoscenti, e teme di aver perso anche il futuro. Ma questo soccorso va sviluppato in modo avveduto, intelligente, rispettoso, non estemporaneo. Caritas Ambrosiana opera all’interno della confederazione internazionale Caritas, rete stabilmente presente quasi in ogni Paese del mondo, che si attiva – in occasione di emergenze acute – a supporto di persone e organizzazioni (in questo caso, le due Caritas attive in Ucraina e quelle dei Paesi di confine) che sono espressione delle Chiese e delle comunità locali e che conoscono territori, popolazioni, contesti.
È una scelta di metodo e fraternità, che valorizza il protagonismo di chi si trova sulla linea del fronte emergenziale, anziché farlo oggetto di attenzioni assistenziali, e cerca di evitare il più possibile sprechi, sperequazioni, inefficienze: rischi sempre in agguato quando si vuole imbastire, pur in nome di una lodevole generosità, modalità di soccorso emotive e improvvisate. È una scelta che la guerra in Ucraina espone a nuove sfide, e che a noi richiederà la disponibilità a innovare i metodi di aiuto e a programmare vicinanza e solidarietà anche nel lungo periodo.
La nostra cultura dell’accoglienza e il nostro pensiero sulla pace sono altrettanto esposti alle drammatiche sfide provenienti dall’Ucraina. Per ospitare i profughi si è levata una commovente onda di generosità da parte di famiglie, proprietari di alloggi, parrocchie, associazioni, scuole: solo Caritas Ambrosiana è arrivata a contare, in tre settimane, quasi 2.500 disponibilità. Che vanno verificate, disciplinate, sostenute. E che ci si augura costituiscano il viatico per sgretolare le riserve, mentali e politiche, che hanno frenato, in passato, l’accoglienza da riservare a profughi provenienti da scenari di guerra, asiatici o africani, altrettanto violenti e sconvolti, ma non altrettanto mediatizzati.
Sulla pace, infine, dobbiamo recuperare capacità di elaborazione e di visione, che mettano a tema l’uso della forza e la sua regolazione nelle relazioni personali, locali e internazionali e nella prevenzione e gestione non violenta degli inevitabili conflitti. Caritas riconosce che, in questa guerra, i ruoli dell’aggressore e della vittima sono ben delineati, ma non crede che la (ri)costruzione della pace, nei tempi futuri, vada affidata anzitutto al rafforzamento degli arsenali. Occorre invece guardare a processi di riconciliazione che ricostruiscano le condizioni di una vita sicura per tutti, fondata sull’accesso alla terra, all’acqua, alla salute, all’istruzione, alla casa, al lavoro.

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