Tra lupi e agnelli

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Nel mio piccolo, sto con il Papa e le sue purtroppo inascoltate preghiere e invocazioni.
Nel mio piccolo, sto con le bandiere della pace, perché sfilare è adesso l’unica cosa
che da cittadino posso fare. Sto con i profughi e con l’accoglienza e aiuto chi aiuta

Eppure, senza pretendere di essere un intellettuale; eppure, senza essere uno che odia i mass media; eppure, senza voler interpretare chissà quale scenario, mi sento di dover dire – da cronista che ancora parla con la gente normale, che ancora vede e ascolta – che la nostra Italia è piena di persone “né né”. E invece di bollarci tutti come disfattisti, putiniani, ignoranti, vigliacchi, miserabili, forse si dovrebbe provare a capire il perché del nostro “non sapere da che parte stare”. Se non abbiamo certezze assolute sulla tragedia della guerra, accade anche perché nessuno ci ha raccontato bene e con serietà quella che, sui libri di scuola, si chiama la linea del tempo. Che cosa è accaduto tra Ucraina e Russia negli ultimi dieci anni? Ce lo volete dire, perché noi non lo sappiamo.
Tanta propaganda, tante foto (anche truccate), tanti commenti di gente che se ne sta al caldo e finisce la serata a Roma e a Milano con grandi aperitivi convinta di aver detto qualcosa di importante. Esperti di strategia, di armi, di servizi segreti: e poi? Uno storico esiste ancora? Uno storico informato e non ideologico che sappia fare i conti con i lati oscuri del passato e del passato prossimo? Permettete di dire anche a noi, che non abbiamo granitiche certezze. Nel mio piccolo, sto con il Papa e le sue purtroppo inascoltate preghiere e invocazioni. Nel mio piccolo, sto con le bandiere della pace, perché sfilare è adesso l’unica cosa che da cittadino posso fare. Sto con i profughi e con l’accoglienza e aiuto chi aiuta.
Non sto certo con Putin, che ha aggredito. Non sto con Putin, che da sempre impedisce le manifestazioni di protesta, che ha incarcerato Aleksej Naval’nyj, che ancora non trova chi ha ammazzato una voce libera come quella della giornalista Anna Politkovskaja, che perpetua il suo potere grazie agli oligarchi e al controllo capillare dell’informazione nei “suoi” territori. Non sto con Putin e la sua cancel culture, visto che ha cancellato anche l’associazione Memorial, che voleva aprire gli archivi del Kgb. Non sto con chi bombarda ospedali, case, centri commerciali, anzi lo ritengo un nemico, che ci riporta con le sue atrocità nella Seconda guerra mondiale. Non sto con il patriarca russo, che approva l’invasione perché «da quelle parti favoriscono i gay». Ma non sto del tutto con l’aggredito Volodymyr Zelens’kvj, dal 2019 Presidente dell’Ucraina, che già tre anni fa, a sua volta, ha definito Putin un nemico, si è autodefinito populista e in questi giorni, dimostrando una grande padronanza del mezzo televisivo, continua a versare benzina sul fuoco. A parlare con insistenza di Terza guerra mondiale. A chiamare a raccolta in sua difesa, senza se e senza ma, la comunità europea. Non sto con i neonazisti ucraini e con i neofascisti che sono andati verso Kiev. Sto con l’analisi del liberale Sergio Romano, ex ambasciatore, grande e informato divulgatore, il quale spiega che con il crollo del Patto di Varsavia, forse anche il Patto Atlantico si sarebbe dovuto sciogliere: l’Ucraina invocava il suo ingresso nella Nato e, nel frattempo – ed è qui che manca la linea del tempo – dal 2014 ci sono stati 14 mila morti nella zona del Donbass. Ma chi li ha fatti? Quando? Come? Qualcuno di voi lettori lo sa e può aiutarmi?
Mi è capitato di parlare con chi ha visto la guerra. E ben prima che si cominciasse a ipotizzare razionamenti, ho visto persone molto in là con gli anni andare dal benzinaio, a bordo di auto anche queste molto in là con gli anni, per fare un insolito pieno di benzina. Ho visto i carrelli del super carichi di pasta, di olio e di sale. Ho visto che i più poveri hanno più paura e nessuno ci sta spiegando niente davvero. «La memoria è lo spazio in cui le cose succedono una seconda volta», ha detto in un convegno l’editore Luca Formenton, citando lo scrittore Paul Aster. Dov’è la memoria?
Bravissimi colleghi ci mostrano la linea del fronte, stanno nelle città, rischiano la vita, ti fanno stringere il cuore parlando di barbarie, ma conosciamo il “presente”, missili compresi. E come possiamo farci un’idea nostra sulle motivazioni e sul perché lo stadio di Mosca si sia riempito di fan di Putin e di lettere Z, simbolo dell’invasione? Sul perché non poche persone rispettabili in Russia e altrove lo difendono. Senza chiarezza è difficile scegliere, restare razionali. E se siamo, con grande amarezza e sofferenza,“né né”, lo siamo perché siamo agnelli, chiediamo la pace. E non vogliamo, non vorremmo, trasformarci nei lupi che sappiamo essere.

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