Vera Caslavska

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Con lei ondeggiavano libertà, bellezza e felicità

Le Olimpiadi del ‘68 erano segnate dalla politica già prima di cominciare, il 12 ottobre. Già il ‘68 aveva registrato gli omicidi di Martin Luther King e Robert Kennedy, il Maggio francese, la Primavera di Praga schiacciata dai carri armati russi, la guerra in Vietnam che sembrava non dovesse mai finire e, in Messico, la strage di Tlatelolco, la polizia che spara sugli studenti, un centinaio di morti, tra i feriti anche la giornalista italiana Oriana Fallaci. L’immagine di quelle Olimpiadi è il podio dei 200 metri: Smith e Carlos a testa bassa, scalzi, pugno chiuso alzato nel guanto nero a ricordare le discriminazione razziali negli Usa e, sul secondo gradino, l’australiano bianco Peter Norman, solidale con il gesto. Per tutti e tre quella gara sarà l’ultima della carriera. Ma non furono i soli a pagare un gesto. Voglio ricordare Vera Caslavska, ginnasta cecoslovacca, nata nel 1942 quando il suo Paese era occupato dai nazisti.
Prima di raccontare la sua storia, parliamo del suo valore. Fino ai 12 anni si dà al pattinaggio, poi passa alla ginnastica e diventa, semplicemente, la migliore. Bionda, un corpo da donna. Dopo di lei sarebbero arrivate le bambine: Olga Korbut nel ‘72, Nadia Comaneci nel ‘76. Per molte ginnaste, la crescita è bloccata artificialmente da allenatori con pochi scrupoli. Le ginnaste-bambine non sono più scalzate, vedi Biles a Rio. Prima vittoria importante: l’oro alla trave negli europei del 1959. Alle Olimpiadi romane vince l’argento a squadre. è una crescita continua: a Tokyo tre medaglie d’oro. La rivalità forte, anche prima della Primavera di Praga, è con le atlete dell’Urss. La Primavera nasce ufficialmente il 5 gennaio. Il Manifesto delle 2.000 parole chiede sostegno al nuovo corso politico. Lo firmano intellettuali, ma anche sportivi: Zatopek, .la “locomotiva umana”, gloria nazionale, il saltatore con gli sci Raska e anche Vera Caslavska, che ha le idee chiare su cosa siano democrazia e libertà. Su democrazia, libertà e sulle speranze di un popolo passano i carri armati sovietici e di altri Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Per i firmatari del Manifesto si fa buio, Zatopek è spedito a lavorare in miniera. Caslavska si trova in ritiro con la nazionale sui monti Jesenik, in Moravia. Scappa dall’albergo, si rifugia in montagna, in un luogo sicuro. Per preparare le Olimpiadi non ha più una palestra, ma sa come arrangiarsi. Il tronco di un albero caduto è la trave, un ramo solido è la sbarra, per gli esercizi a corpo libero va bene anche l’erba di un prato, alla mancanza dei pesi rimedia spalando carbone e trasportando sacchi di patate. Le autorità sportive cecoslovacche le danno in extremis il permesso di partire per il Messico, sembra su consiglio di Breznev: la sua assenza avrebbe fatto più rumore della sua presenza.
Così non sarà. Farà rumore anche la sua presenza. Ha i calli sulle mani, ma non si vedono. Mentre brilla la sua grazie, la sua estrema eleganza. è talmente brava che meriterebbe di vincere tutte le medaglie d’oro, e quattro le vince. Per le altre due provvedono giurie “imbeccate” con verdetti scandalosi. Vera si deve accontentare di un oro ex aequo con la sovietica Larisa Petrick e di un argento dietro Natalia Kuchinskaya nella trave. Sul podio, in entrambe le premiazioni, Vera piega la testa verso il basso e distoglie gli occhi mentre salgono le bandiere: non guarderà mai quella rossa, è il suo modo di urlare quel silenzio ostinato, educato, glaciale. Finito il suo calendario di gare, si sposa nella cattedrale di Città del Messico con Josif Odlozil, argento nei 1.500 a Tokyo. Diecimila messicani le fanno festa. Ha conquistato tutti, ha scelto una canzone messicana per accompagnare il suo esercizio. La proclamano atleta dell’anno. E donna dell’anno, insieme a Jacqueline Kennedy. A Capri il viaggio di nozze. è una stella di grandezza mondiale.
Il ritorno a Praga impedisce alla stella di brillare ancora, ma non offusca la sua grandezza umana.Le chiedono di ritrattare la firma che in giugno aveva posto sul Manifesto. Lei rifiuta. Suo marito è espulso dall’esercito. A lei tolgono il passaporto, le impediscono di lavorare vietando l’accesso agli impianti sportivi. Per mantenere i figli farà per anni la donna delle pulizie, lavando scale e pavimenti. Altre volte le chiederanno di rinnegare la firma, e lei dirà sempre no. «Non potevo farlo, un mio cedimento avrebbe indebolito il coraggio di qualcuno e io volevo che la speranza della mia gente restasse viva e forte». Le rifiutano la possibilità di allenare, anche se sarebbe molto utile alle ragazze più giovani. Scrive una biografia, che il governo blocca. Uscirà solo in Giappone, dopo un’infinità di tagli. Nel ‘79 le concedono di allenare due anni in Messico e, dal 1987, la nazionale olimpica. Nel 1989 è nominata da Vaclav Havel sua consigliera per lo sport. Il matrimonio con Odlozil è finito ma il dolore più grande deve arrivare: nel 1993 il figlio Martin durante una lite da ubriachi in un bar, spara al padre e lo uccide. Condannato a 4 anni. Il colpo per Vera è durissimo, vive un periodo di depressione e ne esce. Dal ‘95 al 2001 ha fatto parte del Cio. è morta l’anno scorso di tumore al pancreas, aveva 74 anni. Per quello che poteva, li ha riempiti bene, con lei volteggiavano e facevano capriole la libertà, la bellezza e la felicità. Li ha vissuti a schiena dritta, con grande dignità, senza un ripensamento, un passo indietro, un minimo cedimento. Quando si parla di hombre vertical, mai dimenticarsi di donne come Vera Caslavska, mujer vertical.

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