Viktor e Roberto. Colloquio padre-figlio alla ricerca del proprio posto nel mondo

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La sincerità aiuta padre e figlio a comprendersi, le cose da dire sono tante. C’è un fiume di parole e di immagini nell’incontro tra generazioni lontane, c’è la sintesi di tante esperienze, la scoperta meravigliosa di essere padre e di esserci sempre, la tenerezza di sentirsi figlio cresciuto con qualcosa di lui dentro, quella capacità di farsi attraversare dalle relazioni con gli altri

Un padre dialoga con il figlio. È un giornalista che ha scalato le tappe del mestiere. Cronista, inviato, corrispondente in America. Ripercorre le storie di una vita randagia con qualche vuoto da riempire, ha bisogno di un senso e si confessa con il timore della retorica, dell’autocelebrazione.
Un figlio dialoga con il padre. Fa il regista, documenta missioni umanitarie per le Nazioni Unite, è un nomade digitale e si domanda perché nel mondo esiste una serie A e una serie B, perché i bambini muoiono di fame, perché si combatte ancora a Kiev, Kabul, Bagdad…
Ne esce un memoir, prima di tutto intimo, affettuoso come un abbraccio, che scava nel passato di un comunicatore che ha scelto di mettere la sua esperienza al servizio del volontariato e un figlio che vuole sapere tutto di un genitore che ha visto sempre curvo sulla macchina da scrivere o sul computer. La premessa è la non neutralità. C’è qualcosa che Viktor Pesenti deve dire a suo padre Roberto, c’è un rospo da sputare, una storia da adolescente inquieto che merita di essere riletta, perché ha rischiato di rompere un equilibrio familiare.
«Ti ricordi il liceo Gonzaga a Milano? È lì che mi sono sentito non capito, schiacciato in un ambiente oppressivo, portato da New York a Milano senza possibilità di scelta».
Nei sedici anni di un figlio e nella maturità di un padre ci sono parole che non si dicono, che restano dentro tutta la vita. Invece Vicktor racconta tutto a suo padre durante un viaggio in auto, sotto la pioggia, dall’aeroporto a casa. «Una mattina ho detto all’insegnante: sono qui per studiare non per pregare. E davanti all’ennesima punizione ho pensato: ho sedici anni e tra poco mi getterò dalla finestra dell’aula».
L’ha fatto davvero, Viktor, e quell’insubordinazione non è stata soltanto un trauma in famiglia: è diventata un caso, per i compagni di classe forse un gesto da leggenda, ma per il padre uno choc. A distanza di anni, in quel viaggio sulla A7 da Milano verso la Liguria, Roberto Pesenti ammette di aver sbagliato. «Sono rimasto sordo alle tue parole, per orgoglio, per non ammettere un fallimento…».
La sincerità aiuta padre e figlio a comprendersi, le cose da dire sono tante, come le diversità tra chi si sente un figlio del Novecento e chi invece convive con la modernità. C’è un fiume di parole e di immagini nell’incontro tra generazioni lontane, c’è la sintesi di tante esperienze, la scoperta meravigliosa di essere padre e di esserci sempre, la tenerezza di sentirsi figlio cresciuto con qualcosa di lui dentro, quella capacità di farsi attraversare dalle relazioni con gli altri, in ogni momento, com’è la vita di un giornalista. “I figli non sono figli dei genitori ma dei desideri che produce la vita stessa”, scrive Viktor. «Qual è il nostro posto nel mondo?» domanda Roberto. Le pagine di Love&Duty, amore e dovere, il libro che hanno scritto a quattro mani, non lo dice. Ma è un invito a cercarlo con il cuore, con i sentimenti, con le passioni e con gli antidoti alle ingiustizie che si combattono con l’impegno e con il dialogo.
Viktor a Cophenaghen, dove vive, cerca nel suo lavoro di far crescere la responsabilità sociale. Suo padre da anni collabora con Manager no profit per aiutare le organizzazioni del terzo settore e con la fondazione Il Bullone, che aiuta ragazzi affetti da patologie croniche. I loro pianeti si sono riallineati, ma forse non erano mai stati lontani. Idealmente si sono passati la mano. Aiutare chi aiuta gli altri li fa sentire ancora più vicini.

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