Yeman Crippa

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Una storia dove si include e si somma

In atletica, chi dice Etiopia dice Abebe Bikila, due volte vincitore della maratona olimpica (Roma 1960 e Tokyo 1964). È una storia vecchia, bellissima (Bikila vinse 12 delle 15 maratone cui partecipò e fu in un certo senso il portabandiera di un intero continente) e triste nel finale (morì a 41 anni). Oggi racconto una storia giovane, solo poche pagine sono state scritte. Sono partito da Bikila per via dell’età (mia) e perché tutti abbiamo voluto bene a quell’atleta magro, scalzo, venuto da lontano, da altipiani mai visti né immaginati. Dalle montagne arriva anche Yemaneberhan Crippa, dal villaggio di Robit, provincia di Wollo, nel nord-est. Ed è cresciuto in un paese trentino che si chiama Montagne. In amarico il suo nome significa il braccio destro di Dio. L’ha accorciato in Yeman, Yeman Crippa. Parla italiano con accento trentino, tifa Inter, quando vince qualcosa d’importante mima una mitragliata perché l’ha visto fare a Dejan Stankovic (ma il copyright resta di Batistuta). È diplomato alla scuola alberghiera di Tione, corre con la maglia delle Fiamme Oro, è campione europeo di cross da due anni. Nel 2014 vinse a Samokov, in Bulgaria. Nel 2015 a Hyères, in Francia. Terza medaglia continentale un bronzo sui 5.000.
Passaggio per le porte girevoli, siamo nel 2003. Roberto e Luisa Crippa, quarantenni, sono una coppia milanese che lavorò nel volontariato (Centro Aiuti per l’Etiopia). Visitano l’orfanotrofio di Addis Ababa e decidono di adottare tre fratellini: uno di questi è Yeman. I genitori sono morti a pochi mesi di distanza. Agli orfani in un primo tempo provvedono gli zii, ma non ce la fanno. Anche perché gli orfani sono sei. In due riprese i Crippa li adottano tutti e sei, poi altri due cugini. Totale otto. Per loro si cambia casa (ne serve una grande), si cambia lavoro (da agente di commercio Alberto diventa assistente di invalidi), si cambia vita (da Milano a Montagne, poco più di 200 abitanti, è un bel salto). Yeman è portato per lo sport. Comincia da ala sinistra, la cosa che colpisce di più gli osservatori è la sua velocità. Marco Borsari, morto nel 2011, lo avvicina all’atletica. Ora il suo allenatore è Massimo Pegoretti, ex azzurro. Yeman può correre dagli 800 ai 5.000, avrà 20 anni in ottobre ed è presto per chiamarlo specialista, anche se la campestre sembra la gara in cui si esprime al meglio. Anche il fratello Neka, maggiore di due anni, è atleta del mezzofondo.
All’inizio di quest’anno, in una classica come il Campaccio, ha vinto un etiope, Merga. Crippa si è piazzato ottavo, secondo degli italiani, dietro a La Rosa. Un buon piazzamento. Un ragazzo da tenere d’occhio, dicono gli esperti. Troppo giovane per le Olimpiadi di Rio 2016, perfetto per quelle del ‘20, sempre che abbia voglia di continuare. «Voglio fare tanta strada e vincere tanto», dice lui. Il suo sogno è di costruire una scuola a Robit, dove torna una volta l’anno. L’ha lasciata da bambino pastore, ci torna ogni anno. Yeman è uno dei tanti atleti chiamati nuovi italiani. Si sentirà più etiope o più italiano? Domanda superflua e forse un po’ stupida. La risposta gliel’aveva già suggerita papà Roberto correndogli incontro, oltre il traguardo di Samokov tra neve e fango. Correva tenendo una bandiera per mano: una dell’Italia, una dell’Etiopia. Perché in queste storie non si esclude e non si divide: si include e si somma.

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