Miracolo a Milano Storia di una città che non dimentica chi resta indietro

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Settant’anni fa, nel 1951, usciva il film di Vittorio De Sica che raccontava una Milano molto diversa da quella di oggi, abitata da diseredati e barboni che nonostante le difficoltà sognavano un futuro migliore. Gianni Biondillo ha raccontato in un libro la città di oggi, tanto diversa ma così simile a quella di allora.

L’ultima volta che ho visto Miracolo a Milano (la pellicola di Vittorio De Sica del 1951 ndr) è stata grazie alla cocciutaggine di Sergio Seghetti, un funzionario del sistema bibliotecario di Milano che era riuscito a procacciare il cinemobile in dotazione alla cineteca di Milano per una proiezione serale all’aperto, proprio sul set del villaggio dei barboni del film di De Sica (a Lambrate ndr). Era il settembre dello scorso anno. All’aperto, distanziati, con la mascherina e tutti gli accorgimenti del caso, assieme a un manipolo di cinefili e di abitanti del quartiere, ciò che più mi preoccupava era la reazione che avrebbero avuto le mie due figlie adolescenti che avevo portato con me, non proprio obbligandole, ma quanto meno insistendo più del normale. Per loro Miracolo a Milano non era nulla, in fondo. Il loro immaginario non lo contemplava. Fra videoclip, cinema hollywoodiano, serie e saghe televisive, avrebbero apprezzato una fiaba in bianco e nero, lenta, ingenua, girata in un tempo così lontano che forse per loro rasentava la preistoria?
Mai avere pregiudizi, soprattutto sui giovani. Ne parlammo per settimane dopo averlo visto, citando di volta in volta, per cèlia e per ammirazione, più d’una scena, più d’una battuta. La magia s’era rinnovata nuovamente, e forse misteriosamente.
Cosa sia la serendipità l’ho compreso per davvero proprio quella fresca sera settembrina, durante la proiezione del film. Alla mia destra la città aveva ormai costruito su tutti gli spazi brulli, su tutti i vuoti incolti che vedevo proiettati sul telone del cinemobile, era quasi impossibile credere che proprio lì si fossero girate molte delle scene più iconiche. Alla mia sinistra invece resisteva un prato che raggiungeva lo spiccato ferroviario, lo stesso della baraccopoli che si vede in buona parte del film. Ad un certo punto proprio mentre nella finzione bidimensionale passava un treno in bianco e nero, alla mia sinistra passò, tridimensionale, colorato e altrettanto sbuffante, un treno vero, al punto che non capivo più cosa dovessi guardare o a quale sferragliare dovevo dare retta, immerso in una realtà aumentata, fra finzione e realtà, che nessuna tecnologia immersiva saprà mai restituirmi.


Segni che restano
Mentre il mio cuore guardava il film emozionandosi fino alle lacrime, la mia deformazione politecnica cercava di scena in scena di riscostruire la geografia di una città che era evidentemente vera, neorealista, en plein air, e allo stesso tempo, irriconoscibile, se non nelle sue emergenze monumentali, quasi non fosse mai esistita per davvero. Restava il terrapieno dello spiccato ferroviario. Identico nel film come nella realtà. Ed ecco l’intuizione semplice: la città cambia, di continuo, ma i segni che la definiscono, quella dei tracciati storici, o delle infrastrutture moderne, persistono con più pervicacia persino dei monumenti architettonici di cui si fa vanto. I terrain vague dove abitano i barboni del film sono gli stessi di oggi: i paesaggi dell’abbandono, abitati dai negletti della società, resistono e sono depositari di una memoria che viene da lontano. Altro che non-luoghi.
Milano dalla fine dell’Ottocento ha corso senza posa verso la modernità, indifferente alle macerie che si portava dietro. Era una città dickensiana, dove il forzato inurbamento di contadini trasformati in artigiani e operai metteva la città di fronte alla sua sfida più difficile: sopperire a una carenza abitativa che si dimostrò da subito cronica. Problema, sia detto subito, che si porterà dietro per tutto il secolo a venire. Ai lavoratori, agli operai, agli artigiani una casa bene o male Milano gliela stava dando. Ma la città di fine Ottocento aveva anche un suo popolo dickensiano, fatto di lôcch, teppa, barbuni, accattoni, balordi. Una Milano sconosciuta, come il titolo del libro del 1879 di Paolo Valera, un viaggio nei quartieri sordidi della città, fatti di miseria e disperazione, con la volontà di mappare il vizio, la prostituzione, l’omosessualità.
Nel 1930 era venuto ad abitare a Milano un giovane scrittore per collaborare a varie riviste della casa editrice. Si chiamava Cesare Zavattini. È in una Milano dinamica e senza posa che si forma Zavattini. Ci vivrà un decennio. Trasferito a Roma nel 1940 si porterà la memoria di una città girata in lungo e in largo e l’idea di un soggetto per un film da fare con Totò: l’embrione di ciò che sarà Miracolo a Milano. Nel mentre, la guerra. Devastante per la città. Centinaia di migliaia di persone non avevano più una casa sicura, un tetto dove dormire. Milano era diventata una città di lôcch. In questo paesaggio fisico e umano nacque il film di Vittorio De Sica, film omaggio al suo amico e sodale Zavattini. Non era una bella storia da raccontare?
Dunque, quella sera di settembre del 2020 guardando il film con le mie figlie proprio dove fu girato, ho sentito nascere in me un desiderio. No, di più: da intellettuale, da scrittore, da cittadino, un dovere: non perdere la memoria. È per questo che mi sono lanciato in questa folle impresa di progettare un libro sui 70 anni di Miracolo a Milano. Un libro che sia un omaggio al film e alla città dove è stato girato. Per non dimenticarci che siamo stati una città di baracche e di sogni, “dove buongiorno vuole dire davvero buongiorno”.


A fianco degli ultimi
Ieri come oggi Milano non può dimenticare chi non ce la fa, perderebbe la sua anima più autentica, smetterebbe di essere Milano. Lo dico da figlio del sottoproletariato meridionale che ha potuto essere e diventare quel poco che è grazie a questa città. Così ho chiamato a raccolta artisti, studiosi, critici cinematografici, scrittori, architetti, archivisti, musicisti, storici, milanesi e non, di nuove e vecchie generazioni, donne e uomini, usando Miracolo a Milano come memento e come augurio per un nuovo miracolo, dopo un anno così difficile.
La risposta di tutti è stata entusiastica, i risultati si possono vedere nel volume che verrà anche diffuso on line dal sistema bibliotecario di Milano. Un regalo che tutti noi abbiamo voluto fare alla città, e all’Italia intera, per ricordare un capolavoro che ha ancora molto da insegnarci.
*estratto da “Miracolo a Milano (i poveri disturbano)”, in Miracolo a Milano. Un omaggio a un film e a una città, Gianni Biondillo (EuroMilano 2021).

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