Pandora Papers Un faro sul mondo oscuro dei paradisi fiscali

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Ci sono i nomi di primi ministri, capi di Stato, re, calciatori, artisti, mafiosi, parlamentari, imprenditori. Ci sono quelli esotici di giurisdizioni note per essere generose dal punto di vista fiscale. E ci sono decine di migliaia di società offshore. Ecco il frutto di una maxi inchiesta giornalistica internazionale, coordinata in Italia da L’espresso

Ci sono i nomi di primi ministri, capi di Stato, re, calciatori, artisti, mafiosi, criminali, parlamentari, imprenditori, affaristi. Ci sono poi quelli esotici di giurisdizioni note per essere particolarmente generose dal punto di vista fiscale: dalle British Virgin Islands a Dubai; da Singapore a Panama; da Belize a Cipro o ancora alle Seychelles. E ci sono infine decine di migliaia di società offshore, più o meno fittizie. La cui unica traccia fisica, in alcuni casi, è ridotta ad una cassetta delle lettere, stipata in mezzo ad altre centinaia in palazzine anonime e deserte, circondate da strade battute dal sole e punteggiate da palme.
I Pandora Papers sono questo: la fotografia di un immenso meccanismo, oliato e perfezionato nel tempo, ad uso e consumo di ricchi che intendono arricchirsi. Di potenti ai quali il potere non è bastato. Un mondo parallelo nel quale la finanza occulta consente di aggirare il fisco per risparmiare sulle tasse e nascondere patrimoni e affari. Le enormi dimensioni del fenomeno sono il frutto di una maxi-inchiesta giornalistica, condotta per oltre un anno dal Consorzio internazionale dei giornalisti d’inchiesta (Cigi), alla quale hanno partecipato circa 600 reporter e 150 media di 117 Nazioni (L’Espresso per l’Italia). E che ha permesso di svelare decine di nomi eccellenti: tra questi, quelli di 35 capi di Stato, 130 miliardari, 300 importanti personaggi politici, i cui riferimenti compaiono negli 11,9 milioni di documenti che sono stati vagliati dal Cigi.
Mail, tabelle, immagini, organigrammi. Tutti fuoriusciti da quattordici studi legali specializzati nella creazione di società offshore e nella gestione di grandi patrimoni al fine di evadere o eludere il fisco. Il tutto per poche migliaia di euro: tanto basta per aprire una società fittizia in un paradiso fiscale e mettere al sicuro i propri tesori. Assicurandosi al contempo protezione e discrezione. Basti pensare che grazie ad un solo studio legale, l’Alcogal di Panama, diretto da un ex diplomatico statunitense, un gruppo di banche avrebbe creato quasi 4 mila società offshore.
Un po’ più cara – circa 25 mila dollari – la creazione di un trust, che consente di gestire il denaro facendo credere di non averne il controllo, al fine di rendere sempre più complesse e fitte le maglie che nascondono gli affari.


Ricordate Panama Papers?
A patto, però, che nulla trapeli: esattamente ciò che era accaduto anche cinque anni fa con l’inchiesta Panama Papers. All’epoca, però i documenti erano tutti usciti da un unico studio, quello di Mossack Fonseca. Nel caso dei Pandora Papers i dati a disposizione sono stati molti di più. Anche se, in ogni caso, rappresentano solo uno spaccato del fenomeno, se si considera che l’Ocse ha stimato in 11.300 miliardi di dollari il valore del denaro nascosto nei paradisi fiscali di tutto il mondo.


Nomi di primo piano
A spiccare tra le carte dei Pandora Papers sono numerosi nomi di primissimo piano. C’è ad esempio quello dell’ex premier laburista inglese Tony Blair, l’uomo della “terza via” a sinistra, a lungo osannato da una larga parte della sinistra liberal europea.
Nel 2017 è diventato proprietario a Londra di un immobile vittoriano del valore di 8,8 milioni di dollari. Per ottenerlo, l’ex capo di governo avrebbe acquistato quote di una società con sede nelle British Virgin Islands, di proprietà del ministro dell’industria del Bahrein, Zayed bin Rashid Al Zayani. Così, Blair avrebbe beneficiato di vantaggi fiscali tali da consentirgli di risparmiare oltre 400 mila dollari di tasse in Inghilterra.
Ma tra i nomi dei presunti elusori ed evasori ci sono anche quelli dell’attuale Presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, del premier libanese Najib Mikati e del re di Giordania Abd Allah II. Con loro, il primo ministro ceco conservatore Andrej Babis, travolto il 10 ottobre alle elezioni, a pochi giorni dalla pubblicazione dei Pandora Papers (e chissà non abbiano avuto un’incidenza sul risultato uscito dalle urne). Dalla documentazione, il politico europeo avrebbe nascosto al fisco la bellezza di 15 milioni di euro attraverso il solito meccanismo delle società offshore: il tutto per regalarsi un castello nei pressi di Cannes, in Francia.
E ancora. L’inchiesta ha puntato il dito contro il Presidente dell’Ecuador Gullermo Lasso, dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, i loro omologhi del Gabon e Congo, Ali Bongo e Denis Sassou Nguesso, e il primo ministro della Costa d’Avorio Patrick Achi. Ma uno dei nomi che ha creato maggiori polemiche è quello dell’ex ministro delle finanze dei Paesi Bassi Wopke Hoekstra: da una parte per l’investimento particolarmente sui generis che ha scelto grazie ai proventi della presunta frode fiscale (avrebbe comprato infatti una società che organizza safari in Tanzania tramite una società fittizia). Ma a far sussultare è stato il fatto che fosse lo stesso personaggio che, quando si trattò di decidere come dividere tra le Nazioni europee il denaro del piano di aiuti per il rilancio economico post-Covid, si scagliò contro le Nazioni del Sud, accusandole – udite, udite – di non aver adottato sufficiente rigore sul piano fiscale.


La parte del leone
Dal punto di vista quantitativo, però, la parte del leone la fa il re di Giordania Abd Allah II. Dalle informazioni che il Cigi è riuscito ad ottenere da un contabile inglese che opera in Svizzera e che ha lavorato con degli avvocati alle British Virgin Islands per “aiutarlo”, il monarca avrebbe acquisito 14 abitazioni di lusso negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Un affare da oltre 106 milioni di dollari, reso possibile grazie ad una rete di 36 società fittizie create tra il 1995 e il 2017.
Il boss della camorra
Similmente, in Libano sono emersi i nomi del premier Mikati, del suo predecessore Hassan Diab e perfino del responsabile delle politiche anti-corruzione Muhammad Baasiri e del governatore della Banca centrale, Riad Salamé. Nel nostro Paese sono emersi i nomi del commissario tecnico della nazionale di calcio Roberto Mancini e dell’ex calciatore, nonché collaboratore del Ct, Gianluca Vialli, così come quello dell’ex direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn.
Assieme a faccendieri, bancarottieri, intrallazzatori, criminali. Come nel caso di Raffaele Amato, noto camorrista, ex capo del clan degli scissionisti di Secondigliano, protagonisti nel 2004 della cosiddetta faida di Scampia, vedasi alla voce Gomorra. Il mafioso avrebbe aperto una società offshore e, così, sarebbe riuscito a comprare una serie di terreni in Spagna.

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