Allarme clima

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L’Italia, e in generale il bacino del Mediterraneo, è indicato dai ricercatori di tutto il mondo come un “hotspot del cambiamento climatico”, una delle zone più critiche che subirà l’estremizzazione dei fenomeni climatici. Così, nonostante la gravissima alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna a più riprese, secondo il Cnr una percentuale compresa tra il 6% ed il 15% della popolazione del nostro Paese vive in territori esposti ad una siccità severa o estrema. Per almeno tre milioni e mezzo di italiani l’acqua del rubinetto non può più essere data per scontata e otto milioni di persone potrebbero ritrovarsela contingentata nei periodi più critici. Ma non solo. Il cambiamento di clima e temperature rischia, oltre a causare danni, di distruggere intere filiere produttive, come quella del basilico a Genova. Viaggio di Scarp in quella che rischia di diventare la nuova guerra climatica globale

Per mesi i mezzi di informazione hanno lanciato l’allarme per il secondo anno consecutivo di emergenza siccità. A maggio le immagini riportavano invece le piene che avevano allagato mezza Emilia Romagna, fino a poco prima assetata come tutto il Nord Italia, con vittime tra la popolazione e milioni di danni alle città e alle coltivazioni. Tutto a posto, quindi? I fiumi si sono riempiti, i livelli dei laghi hanno ricominciato a salire, un’altra estate di siccità è scongiurata? No, affatto.
Le piogge di fine primavera, oltre a procurare gravi danni nelle zone alluvionate, non hanno dato grande sollievo alle riserve d’acqua. La situazione resta, secondo l’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po, di siccità estrema. Secondo il Cnr una percentuale compresa tra il 6% ed il 15% della popolazione del nostro Paese vive in territori esposti ad una siccità severa o estrema: per almeno tre milioni e mezzo di italiani l’acqua del rubinetto non può più essere data per scontata e otto milioni di persone potrebbero ritrovarsela contingentata nei periodi più critici.
«Questa siccità è il risultato di tre fattori meteorologici – spiega Ramona Magno, responsabile dell’osservatorio siccità del Cnr–. Il primo è la scarsità di piogge, soprattutto al Nord: lo scorso anno abbiamo avuto il 40% di precipitazioni in meno rispetto alle medie annuali. Secondo, le temperature più alte. Terzo, scarsissime nevicate, e la neve è fondamentale per l’infiltrazione nel terreno e la ricarica delle falde, che sono una riserva tanto importante quanto fragile, proprio perché per risalire di livello richiedono mesi: non basta qualche giorno di pioggia come invece accade per i fiumi».
Le piogge di maggio, laddove non sono state catastrofiche, hanno portato qualche beneficio a fiumi e laghi, oltre alle zone agricole in cui era iniziata la semina. Ma, perlopiù, sono state intense, concentrate in poco tempo e poco spazio: «E questa è l’altra faccia della stessa medaglia, che ci mostra il cambiamento climatico che stiamo vivendo. Negli ultimi decenni c’è stato un incremento delle intensità e della durata di questi fenomeni estremi».
La siccità dunque è la nuova normalità, e con questa bisogna fare i conti. L’Italia, e in generale tutto il bacino del Mediterraneo, è indicato dai ricercatori di tutto il mondo come un “hotspot del cambiamento climatico”, una delle zone più critiche che subirà l’estremizzazione dei fenomeni climatici, in cui è previsto che la disponibilità di acqua sarà sempre meno.
Problema per il Nord
Il problema, paradossalmente, riguarda più il Nord che il Sud Italia. Mentre il Sud è abituato e attrezzato in qualche modo a gestire queste situazioni (negli anni ha costruito molti più invasi di raccolta), l’impatto è stato forte per il …

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