Come la pandemia ha reso introvabili alcuni prodotti

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Nel mondo ricco, durante il lockdown, sono aumentate in maniera vertiginosa le richieste di televisori, computer, consolle per videogiochi, causando pressioni sugli approvvigionamenti delle preziose terre rare indispensabili per costruire i chip elettronici. In crisi anche il settore auto e quello energetico

«A causa di alcuni ritardi nell’approvvigionamento delle merci e delle materie prime, dovuti alle conseguenze della pandemia sul settore dei trasporti, in questo periodo alcuni prodotti potrebbero non essere disponibili». Chiunque nelle ultime settimane abbia provato ad acquistare, online o presso i negozi, una serie di prodotti del colosso svedese Ikea, si è trovato di fronte ad un problema ormai generalizzato: quello della mancanza di una serie di prodotti, conseguenza del caos generato dal Covid-19 nelle supply chains, le catene di approvvigionamento.
Il gigante della vendita al dettaglio afferma, secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, che almeno mille voci nell’assortimento di mobili e accessori stanno avendo problemi di consegna. Molti camionisti si sono ammalati nel corso del tempo e, via via, le scorte necessarie per la fabbricazione si sono ridotte. Una “tempesta perfetta” di problemi, che ha creato difficoltà soprattutto nel Regno Unito, dove alla pandemia si sono aggiunte le difficoltà logistiche legate all’applicazione delle nuove regole a seguito della entrata in vigore della Brexit, l’uscita dall’Unione europea. Ma Ikea è solo un caso tra i tanti. La società proprietaria della catena di pub inglesi JD Wetherspoon lamenta la mancanza di birra nei locali, lo stesso succede anche alle catene di fast food Nando, McDonald’s e Gregg. Così come numerose industrie non riescono ad ottenere sufficienti scorte di alluminio, acciaio o di semi-conduttori. E i tempi delle consegne non fanno che allungarsi, mentre i costi per i trasporti risultano in continua crescita.
Un caso emblematico è quello dell’industria automobilistica. La produzione di Stellantis (il gruppo del quale fanno parte Psa, Fiat e Chrysler) patisce in particolare la mancanza di chip: nel primo trimestre del 2021 non è stato possibile, per questa ragione, completare la fabbricazione di circa 190 mila veicoli. Al contempo, il settore delle rinnovabili ha sofferto la carenza di metalli come nickel e litio, fondamentali per la produzione di batterie o di pale eoliche.


Obiettivo sobrietà
Ma cosa sta provocando questi ritardi? Certamente la crisi sanitaria ed economica attuale ha rappresentato, e rappresenta ancora, un fattore cruciale, con la conseguente riduzione degli scambi commerciali, alla quale si è aggiunta la crescita della domanda cinese. La realtà, tuttavia, è che quello venuto al pettine è un nodo che da tempo stava venendo alla luce. Numerose materie prime stanno infatti diventando sempre più difficili da estrarre. E i materiali succedanei non bastano, per ora, a rispondere alla domanda. Cosa fare dunque? Secondo quanto riferito da Hugues Poissonnier, professore associato alla Scuola di Management di Grenoble in Francia, al quotidiano economico transalpino Les Echos, «la sobrietà e le famose “tre R” (ridurre, riusare, riciclare) rappresenteranno forzatamente il cuore delle soluzioni più pertinenti. Attraverso i loro strumenti, i poteri pubblici dovranno promuoverle. E le imprese, attraverso strategie collaborative e non conflittuali, dovranno metterle in pratica».
Qualcosa sembra ormai muoversi. L’impresa belga Solvay ha investito ingenti somme nel settore dei microchip a Taiwan. E l’americana Intel vuole fare altrettanto, puntando sull’Europa. L’industria dei circuiti elettronici appare infatti in piena crisi, incapace di fronteggiare la domanda. La crisi dovuta alla pandemia, ha colpito d’altra parte in modo molto duro il sud-est asiatico, e numerose fabbriche sono presenti proprio in Paesi come Vietnam, Malesia, Thailandia o Indonesia. Alla riapertura dopo i primi lockdown, le aziende si sono ritrovate sommerse dalle richieste: hanno cercato di evadere gli ordini, ma a distanza di alcuni mesi la nuova ondata di Covid, legata alla variante Delta, ha imposto un nuovo stop alla produzione inceppando una volta ancora il sistema globale.
Nel frattempo, soprattutto nel mondo ricco, la domanda di televisori, computer e consolle per videogiochi è aumentata fortemente proprio nei mesi più duri della pandemia, aumentando così la pressione sulle catene di approvvigionamento. Similmente, lo sviluppo della rete di telefonia e traffico dati mobile 5G ha comportato un’ulteriore richiesta. Come se non bastasse, a ciò si aggiunge il fatto che, in un microchip, sono presenti decine di elementi che compongono la tavola periodica. Alcuni non sono neppure particolarmente rari, ma risultano oggetto di dispute tra Paesi importatori ed esportatori (è il caso, ad esempio, del silicio). Così, in alcune parti d’Europa, la consolle per videogiochi Playstation 5 è diventata sempre più difficile da trovare. E la Toyota ha dovuto ritardare di due settimane l’apertura di una fabbrica nel nord della Francia. D’altra parte, in Europa si fabbrica solamente il 15% dei circuiti elettronici commercializzati nel mondo. Al contrario, un’azienda come la taiwanese Tsmc controlla la metà del mercato globale. Trent’anni fa la produzione europea era invece attorno al 40%: segno di quanto abbia inciso il processo di globalizzazione economica e di delocalizzazione operato da numerose imprese. A vantaggio proprio dei Paesi asiatici.
Le Nazioni del Vecchio Continente, infatti, hanno abbandonato in gran parte la produzione industriale, a favore non solo di Taiwan ma anche della Corea del Sud. Il colosso dell’hi-tech Samsung, ad esempio, prevede circa 200 miliardi di euro di investimenti nei prossimi due anni nel solo settore dei semi-conduttori. Il che sta ponendo, proprio a causa delle difficoltà manifestate dalle aziende asiatiche nel corso della pandemia, una questione di “sovranità industriale”. La stessa della quale, d’altra parte, si è parlato anche in riferimento alla capacità di fabbricare altri prodotti come mascherine, medicinali e vaccini. Anche gli Stati Uniti si trovano nella stessa situazione di dipendenza. Ma, a differenza dell’Europa, hanno cominciato a provvedere a una produzione domestica. Nel Vecchio Continente potrebbe essere necessario aspettare il 2023 o il 2024 per ottenere i primi prodotti.

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