Eugenio Finardi «La musica è essenza Bisogno naturale che colora le nostre vite»

Facebook
Twitter

Dialogo a tutto tondo con il cantautore milanese sul ruolo della musica nelle nostre vite. «Credo
che la musica sia un bisogno, e che sia una cura, un modo per lenire le pene della psiche o dell’anima
o come la vogliamo chiamare. Ma anche, per chi riesce, uno strumento che ci fa sfiorare la mano di Dio»

Quando incontri un cantante famoso presumi di affrontare argomenti quali concerti live e rapporti col pubblico, brani di successo, interpretazioni memorabili o magari di ripercorrere modelli comportamentali legati a quel mestiere (con in mente la famosa triade coniata da Ian Dury Sex, drugs and rock and roll): col rischio di sconfinare nelle futilità o nell’auto-celebrazione. Quasi che il divo, piuttosto che ragionare, preferisca celebrare un cliché, frutto di un’omologazione del ruolo, senza mai uscire dall’archetipo necessario a promuovere vendite e spettacoli. Dialogare con Eugenio Finardi significa, invece, ritrovarsi a ragionare sul ruolo della musica nel mondo contemporaneo, ma anche di arte e filosofia.
Eugenio, visto che conosci e apprezzi Scarp de’ tenis, secondo te esiste una musica degli ultimi o per gli ultimi?
Credo che la musica sia un bisogno, e che sia anche una cura, un modo per lenire le pene della psiche o dell’anima o come la vogliamo chiamare. La musica è usata diversamente nelle varie classi sociali. Nella nostra epoca hanno preso potere e forza le forme musicali legate agli ultimi: il blues, poi il rap, adesso la musica del terzo mondo, la musica degli angoli reconditi del pianeta, dei popoli che stanno scomparendo, perché quella è la musica più vera. Nel 1998 sono stato in Africa, per Medici Senza Frontiere, nel Sudan del Sud, dove c’era una guerra di liberazione in corso, in centri dove curano bambini denutriti. E lì queste madri, che ogni tre ore dovevano allattare i loro bambini vicinissimi alla morte, cantavano, cantavano sempre, nelle pause tra un pasto e l’altro, assieme ballavano e cantavano. E la cosa strana è che se si va a vedere, le musiche più allegre, le musiche più solari, le musiche più potenti vengono dagli ultimi, vengono dai ghetti, vengono dalle bidonville, vengono dalla Nigeria, come l’afrobeat. Provengono dalle comunità dove c’è energia, da dove non ci può essere altro che speranza, perché la disperazione c’è già, viene vissuta tutti i giorni. E allora lì la musica è forte, intensa, è musica viscerale, che viene da dentro. E infatti, in Sudan suonavano tutti, e il buffo è che ci era stato proibito di far ascoltare la nostra musica, perché se lì facciamo sentire Michael Jackson, sono rovinati, contaminati, assumono quella come musica del mondo. Invece le loro espressioni musicali contengono una forza incredibile, da cui noi siamo affascinati: chi ha tutto, non ha più blues da cantare. Ma alla fine ci rendiamo conto che, se ci guardiamo dentro, nel profondo, abbiamo tutti un blues da cantare, e ce l’avremo sempre. …

Leggi di più

Gli ultimi articoli

Gli argomenti più seguiti