Italia-Zambia 0-4

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Olimpiadi 1988. A Kwangju il mondo scoprì lo Zambia

Kwangju, Corea del Sud, Olimpiadi 1988. Il 19 settembre, era di lunedì, Italia contro Zambia. Non si erano mai affrontate prima, non si sarebbero più affrontate dopo. Erano già state aperte le porte al professionismo. E de Coubertin riposasse pure in pace. Più di tante pagine possono servire i tabellini della partita, anzi le pagelline, che ricopio da Repubblica di allora.
Zambia-Italia 4-0
Marcatori: K. Bwalya al 41’ e al 56’, autorete di Pellegrini al 64’, K. Bwalya al 90’.
Zambia: Chabala 6,5; Chabinga 6,5, Mumba 7, Chomba 6,5, Melu 7,5, Makinka 7, Johnson Bwalya 7, Musonda 7,5, Nyirenda 6,5 (dal 71’ Chikabala sv), Chansa 7, Kalusha Bwalya 8,5.
Italia: Tacconi 6,5, Tassotti 4, Ferrara 4, Cravero 5,5 (dal 61’Pellegrini sv), De Agostini 5,5, Colombo 5 (dal 61’ Crippa sv), Mauro 4, Iachini 4, Galia 4, Carnevale 4, Virdis 6.
Arbitro: Hackett (Inghilterra) 5,5.
Faceva caldo, il radiocronista zambiano indossava una blusa con su stampati dei leoni rossi. Molto allegra anche la divisa della squadra: arancione, con calzettoni color turchese. Allenatore dell’Olimpica Francesco Rocca, da calciatore detto Kawasaki, terzino velocissimo e instancabile prima che un grave infortunio lo costringesse a smettere. La panchina l’aveva ereditata da Dino Zoff, passato su quella della Juve. Era un’Italia molto forte, sulla carta. «Su la carta tuto bén, xe su l’erba che le robe le se complica», avrebbe ammonito Nereo Rocco, ma era morto da nove anni. Era un’Italia forte e sicura di sé. Nei giorni di vigilia fiorivano battutacce: «Ma questi giocano coi piedi o con le mani?». «A quanti gol dobbiamo fermarci, per non umiliarli?»
Nel rapporto degli osservatori c’era scritto che lo Zambia correva tanto e il tasso tecnico era discreto. In realtà correva tantissimo e, in alcuni come Bwalya il goleador, il tasso tecnico era più che discreto. Cominciai a pensarlo al secondo tunnel che fece a Tassotti, una delle colonne difensive del Milan di Sacchi. Lo stadio era pieno di coreani, molti arrivati dalle scuole, ingresso gratuito. Tifavano per chi aveva la palla e, dopo il primo gol di Bwalya, per i più deboli, cioè l’Italia. Che parte baldanzosa, ma si spegne dopo 20’, poi è monologo, dominio, mattanza. Lo Zambia corre tanto davvero, ma allegramente. Ci sono tanta allegria e tanta libertà nel suo gioco vagamente sudamericano. Preferiscono affidarsi al dribbling che al dai e vai. Il voto più alto lo riceve Tacconi, che incassa quattro gol ma altrettanti ne evita. L’uomo più intervistato è Kalusha Bwalya. Gioca in Belgio, nel Cercle Bruges, ma per anni ha sgobbato nelle miniere di rame della zona di Mufulira, dov’è nato.
In Italia, la sconfitta è paragonata a quella con la Corea del Nord a Middlesbrough, nel mondiale del 1966. Quella fu clamorosa e sfortunata (Bulgarelli zoppo, ma non si potevano fare cambi). Corea, negli anni a venire, diventa sinonimo di vergognoso tracollo sportivo. Ma a Kwangju è una sconfitta più grave, più pesante non solo nel punteggio. Non ha attenuanti, oppure una sola, minuscola: un rigore non limpidissimo che Hackett non fischia. Si va avanti. La solita ultima spiaggia dell’Italia con l’Irak: 2.0. Ancora 4-0 dello Zambia al Guatemala, prima di essere eliminato dalla Germania: 0-4 ai quarti. Poi i tedeschi battono l’Italia nella finale per il terzo posto: 3-0.
Da quel giorno il mondo del calcio sa chi è lo Zambia. Cerca la qualificazione ai mondiali Usa del ‘94. Il 20 aprile 1993 trasferta in Senegal, via Congo – Gabon. Gli “europei”, protetti da contratti e clausole, non fanno parte della spedizione. Molto spesso le federazioni sono povere in Africa, e i viaggi avventurosi. Lo Zambia viaggia su un aereo militare. Già allo scalo di Brazzaville un motore aveva creato preoccupazioni, ma il volo fino a Libreville fila liscio. Il disastro in fase di decollo: un motore prende fuoco, l’aereo precipita in mare a 500 metri dalla costa. Nessun superstite, 35 morti. Tra loro, alcuni dei trionfatori di Kwangju: Makinka, Chabala, Chomba, Chansa. Tutti i chipolopolo (proiettili di rame è il loro soprannome) avevano lo stesso sogno: Usa ‘94.
È un dramma, ma la storia non finisce nel mare del Gabon. S’interrompe e ricomincia da uno stadio del Gabon, proprio a Libreville, dove s’erano spezzati i sogni ma non la storia. Coppa d’Africa 2012, lo Zambia non è tra le favorite, è pieno di giovani e povero d’esperienza, ha cambiato allenatori: il francese Renard, poi l’italiano Bonetti, poi ancora Renard. Non è tra le favorite, ma arriva in finale con la fortissima Costa d’Avorio che propone Yaya e Kolo Tourè, Drogba, Gervinho, Kalou. Quelli dello Zambia giocano tutti in Africa, o in campionati minori. Sulla carta non c’è partita, ma si gioca sull’erba e lo Zambia resiste per 90’, poi per i 120’ dei supplementari. Resiste perché sa che gli altri sono più forti, famosi e ricchi, ma appena può attacca, giovane e orgoglioso. Rigori. Dopo 14 tiri, 7-7, nessun errore. Sbaglia Kolo Touré ma sbaglia anche Kalaba. Che fosse l’ultima occasione, l’ultima speranza? No: sbaglia Gervinho, che ora gioca nel Parma, e segna Sunzu, attualmente al Metz dopo aver giocato in Cina e in Russia. Campioni d’Africa, si potrà dire che stavolta coi vivi hanno giocato i morti? Be’, io che da Kwangju in qua tifo Zambia lo dico. E lo sanno i vivi, che sul prato della premiazione piangono, ridono e guardano verso il cielo di Libreville, oppure guardano davanti a sé, dove dovrebbe esserci il mare.

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