Ludopatia L’azzardo della Regione Piemonte

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Cambiare una legge che funziona anteponendo interessi particolari all’interesse pubblico: queste
le accuse di decine di gruppi e associazioni nei confronti dell’amministrazione regionale, che sta tentando di modificare le norme sul gioco d’azzardo

«Raccolgo 5-10 euro e li vado a giocare, se mi andasse bene. Ogni volta penso: faccio una giocata e me ne vado, invece poi. Un euro per volta non te ne accorgi neanche, ma quando vai via capisci di aver perso i soldi per la spesa». Nel racconto di Maria, che vive con una pensione di invalidità, ci sono gli elementi chiave del gioco d’azzardo patologico: la speranza di una vincita che spinge al gioco, la ripetitività che diventa compulsiva fino alla dipendenza, le perdite di denaro che compromettono il reddito familiare.
Maria è una di quel milione e mezzo di persone che in Italia sono cadute nella dipendenza da gioco, su circa 18,5 milioni di giocatori abituali. Si tratta prevalentemente di persone vulnerabili, spesso già in condizioni di povertà o che inevitabilmente ci finiscono. Il fatto che siano queste fasce della popolazione a correre i rischi maggiori col gioco d’azzardo è confermato dai dati dell’ultimo anno: al crollo del gioco “fisico”, dovuto alle chiusure anti-Covid, non è corrisposto un incremento proporzionale del gioco on line, in forte aumento ma che non ha sostituito quello in presenza, praticato soprattutto da persone che per vari motivi non sono in grado di giocare on line.
Negli ultimi 20 anni il gioco d’azzardo si è diffuso in modo capillare in Italia, portandola a essere il primo Paese europeo e il quarto al mondo dove si gioca (e quindi si perde) di più, con una mole di denaro quasi triplicata in un decennio fino a superare i 110 miliardi di euro nel 2019. Dalla metà degli anni Novanta a oggi si è passati dai soli Totocalcio, Lotto, Totip, lotterie nazionali e quattro casinò a infinite possibilità di gioco, con un incremento esponenziale di lotterie istantanee, videolotterie, sale gioco con possibilità di scommesse sportive e ippiche di ogni genere in qualsiasi momento, slot machine nei pubblici esercizi, gratta e vinci e giochi numerici di ogni tipo, gioco on line incontrollabile.
Un boom del gioco che non è avvenuto per caso: c’è stata una chiara strategia di uno Stato “debitore patologico” che ha via via liberalizzato e incentivato il gioco d’azzardo nel tentativo di rinpinguare un bilancio pubblico deficitario, operazione che ha fruttato oltre 11 miliardi di euro alle casse statali nel 2019, prima del Covid. Ma, dato che si sa che il banco vince sempre, ciò è avvenuto nella colpevole consapevolezza delle forti ricadute sociali derivanti da perdite di denaro, impoverimento, indebitamento, rischio usura, patologie, ludopatia.


La pressione delle lobby
Il Piemonte aveva cercato di porre un freno a questa tendenza adottando nel 2016 la Legge regionale n. 9, recante “Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico”. Una buona legge che, a detta di tutti gli osservatori, ha ottenuto in pochi anni ottimi risultati, facendo della Regione una delle più virtuose nella lotta all’azzardo patologico.
Ora, però, l’amministrazione regionale presieduta da Alberto Cirio ha lanciato un’offensiva per modificarla, vanificando gli effetti positivi in termini di prevenzione, deterrenza e tutela della salute pubblica. A difesa della Legge 9/2016 si sono mobilitati molti gruppi e associazioni che considerano questa nuova iniziativa legislativa un’azione che intende privilegiare interessi particolari a scapito dell’interesse pubblico.
Perché l’attuale amministrazione regionale voglia cambiare la legge lo spiega Mario Tretola, presidente delle Acli piemontesi, impegnate attivamente in questa mobilitazione: «A maggio sono scadute le deroghe che la legge aveva posto ai gestori delle sale gioco per mettersi in regola, rispettando le distanze dai luoghi sensibili. Molti però non l’hanno fatto, in attesa che qualcuno cambiasse o abolisse la legge. Possiamo quindi definire questo tentativo di modifica una sorta di sanatoria fatta su pressione delle lobby del gioco d’azzardo. Tra l’altro, non ci sono state audizioni né prima, quando la proposta era in Consiglio regionale ed è stata bloccata dalla militanza di chi si oppone a questa riforma, né dopo con le modifiche legislative fatte a livello di Giunta. Non ci hanno ascoltati perché era indifendibile la loro iniziativa contro una legge che funziona».


A rischio i più deboli
Il cambiamento delle condizioni del gioco d’azzardo in Piemonte ha influenzato il comportamento dei giocatori. La Legge 9/2016 ha infatti portato una riduzione dei volumi giocati e di quelli persi, una diminuzione del 20% della dipendenza da gioco, uno scarso effetto sostituzione con il gioco on line e un impatto non significativo sul fronte occupazionale.
Nei soli primi due anni di applicazione, mentre in Italia c’è stato un aumento dell’1,6% del gioco fisico d’azzardo, in Piemonte è diminuito del 9,7%; tra il 2016 e il 2019, la spesa per gioco legale è diminuita in regione del 15,2% e le perdite del 19%; dove si sono applicati distanziamento e orari restrittivi si sono ridotti i volumi di gioco.
«Tutti elementi positivi che ora si vogliono modificare – sostiene il presidente di Acli Piemonte – anteponendo la logica materiale del profitto all’etica della salute pubblica».
Quando lo Stato decide di fare cassa e, in questo caso, la Regione Piemonte di privilegiare gli interessi delle lobby del gioco d’azzardo senza alcuna attenzione ai problemi che ne derivano, «è chiaro che il problema è grande», aggiunge Tretola: «I tagli che questo Consiglio regionale ha fatto al bilancio della sanità penalizzano, lo abbiamo visto anche con la pandemia. Se poi andasse in porto questa nuova legge, aumenteranno le ludopatie perché non ci sarà più controllo e si metterà con le spalle al muro un sistema che non ha più risorse. Per questo, nelle manifestazioni continuiamo a dire che non sono accettabili scommesse sulla salute delle persone».

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