Questa è una dedica Al teatro che parla alle persone

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Ho trovato in un vecchio appunto le parole di Piero Mazzarella preso durante un incontro
con Emilio Tadini: «Recitavamo sull’orlo di un burrone senza mai cadere, in un teatro tirato
coi denti, sofferto, entusiasta, febbrile, improvvisato, grandioso e generoso negli affetti»

Questa è una dedica. Al teatro che parla alle persone e al luogo che da cinquant’anni rappresenta un sogno, ma più ancora alla donna che di questo teatro e di questo luogo è stata musa e anima e oggi, cinquant’anni dopo, continua ad esserlo.
Il teatro si chiama Parenti, la donna è Andrée Ruth Shammah. Difficile scinderli e ancora di più separarli dalla città di cui rappresentano il pensiero “altro”, definizione di Salvatore Veca: altro perché diverso, inaspettato, originale, sorprendente, libero, capace di immaginare il futuro senza cancellare il passato. È anche un omaggio a Milano e ai suo scarrozzanti poeti: Giovanni Testori, cantore di nebbiose Gilde di periferia e dissacratore dalla penna acuminata e Franco Parenti, maestro teatrante senza protezioni e senza potere, ma capace di portare in scena cuore, verità e coscienza.
C’era sicuramente un’anima a far da raccordo tra Milano e quella compagnia di canto che il 16 gennaio 1973 creò un teatro dal nulla in un vecchio cinema di via Pierlombardo, mossa dalla disperata voglia di cambiare la storia, all’insegna di un’orgogliosa indigenza e solitudine, per dare un palco agli attori di talento e ai senza parrocchia, randagi dello spirito e della cultura. Era un’anima guascona, irriverente e intraprendente capace di uscire dal porto sicuro del Piccolo Teatro per avventurarsi nel mare aperto della sperimentazione, dei nuovi linguaggi, degli allestimenti arditi, in grado di scandalizzare il pubblico con l’Ambleto, ma anche di far pensare all’ingiustizia della vita con la rappresentazione del Timone di Atene, le suggestioni di Molière, i fantasmi di Roth, le stravaganze di Feydeau.
La Shammah, come la chiamano ormai tutti, era lì giovanissima tra giganti della penna e della scena: erano pochi, felici pochi, come nella scespiriana battaglia di Azincourt, con il filologo che non disdegnava il dialetto, Dante Isella, e lo scenografo Fercioni a credere possibile la traversata del deserto, al buio e senza sovvenzioni pubbliche: solo aiuti di famiglia, il ricavo dei biglietti, la generosità di qualche amico…
A vederlo oggi il Parenti è la prova di un miracolo riuscito, la risposta perfetta al coraggio di osare, andare oltre, prendersi dei rischi, la conferma che l’anima vive ancora nella memoria e nella capacità di cambiare guardando avanti.
Ho trovato in un vecchio appunto le parole di Piero Mazzarella, inimitabile Tecoppa, preso durante un incontro con Emilio Tadini: «Recitavamo sull’orlo di un burrone senza mai cadere, in un teatro tirato coi denti, sofferto, entusiasta, febbrile, improvvisato, grandioso e generoso negli affetti». Da questa trincea è nato un grande progetto, una Fondazione, la magia dei Bagni Misteriosi con il recupero della piscina Caimi, a disposizione di tutti i cittadini.

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