Educatori scomparsi, un problema per tutti…

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Da qualche tempo, per effetto di due circostanze che hanno reso manifesti problemi di fondo, enti pubblici e non profit faticano ad arruolare educatori professionali. Viene compromessa l’erogazione
di servizi essenziali non solo per la vita di persone fragili e vulnerabili, ma per la tenuta dell’intero Paese

Numeri no, si fatica a inquadrare il fenomeno sul piano quantitativo. Ma storie e testimonianze sì, quante se ne desidera. E tutte convergenti: oggigiorno gli educatori sono merce (sia perdonata l’immagine) che scarseggia. Drammaticamente.
I guai che ne derivano sono diffusi. E tutt’altro che veniali. Perché hanno a che vedere con il benessere psicofisico, le instabilità emotive ed esistenziali, i drammi individuali e famigliari, in generale con le accidentate prospettive di vita di tante persone, vulnerabili e fragili. Tutti soggetti che possono soffrire di un terribile smarrimento, addirittura di una sconsolante retrocessione verso stazioni date per superate nella propria personale via crucis, quando chiude una comunità educativa, quando diventa impossibile l’inserimento in una struttura diurna o residenziale, quando un progetto o un laboratorio vengono ridimensionati, quando in una classe sparisce la figura che aiutava a stare al passo con i compagni.
Comuni, aziende e consorzi dei servizi sociali, scuole dell’obbligo, cooperative sociali, comunità per minori, consultori per famiglie o adolescenti, strutture d’accoglienza per homeless o rifugiati, centri diurni e laboratori formativi e riabilitativi per disabili: non vi è istituzione o esperienza che debba garantire servizi socioeducativi che, un po’ in tutta Italia, non segnali un’estrema difficoltà nell’arruolare e confermare nell’incarico educatori professionali. Che sono pochi. Hanno canali di formazione con numeri chiusi o ridotti. Ricevono gli stipendi più bassi tra le professioni che richiedono l’obbligo di laurea e pertanto sono attratti da altri, più remunerativi e più stabili contratti. Devono affrontare condizioni di lavoro spesso dure. E per di più, da un po’ di anni in qua, soffrono pure di una scarsa considerazione sociale, esito di campagne di stampa e di opinione che muovono da casi deplorevoli (il nido degli orrori, la comunità degli abusi, l’ospizio lager…) per accreditare generalizzazioni bugiarde.
I tagli alla radice
Le cause della scarsità di educatori sociopedagogici professionali sono molteplici. Sono state accelerate e rese manifeste da due circostanze relativamente recenti, cioè la fine del periodo di moratoria dopo l’approvazione della legge (del 2017) che prevede l’inserimento nei servizi solo di chi è in possesso del titolo di laurea L-19 e lo svolgimento del concorso per le cosiddette Mad (Messe a disposizione), che ha indotto molti educatori a migrare verso i più rassicuranti lidi delle supplenze nella scuola pubblica statale. Alla radice, però, gli addetti ai lavori ritengono vi siano i drastici tagli al Fondo sociale nazionale decisi dal ministro Tremonti nel 2007, che in sei anni condussero a ridurre le risorse dell’86% e solo in parte sono stati recuperati dai governi successivi.
Oggi le conseguenze di quelle scelte le pagano gli individui deboli delle nostre città, e le loro famiglie. Insieme a professionisti che, oberati di lavoro e responsabilità, precarizzati e malpagati, vedono bruciate da un contesto sfavorevole motivazioni ed energie assai preziose per la tenuta del Paese. Non sarà facile, invertire la rotta. Ma bisogna farlo. Per ragioni di giustizia e di garanzia di diritti essenziali. E perché se sta bene chi è fragile, sta meglio l’intera comunità.

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