A colloquio con l’artista bolognese, re dei giochi di parole. Per parlare di pace, diritti e futuro. «Ai ragazzi di oggi direi di non seguire solo degli esempi, ma diventare degli esempi»
Intervistare Alessandro Bergonzoni significa cambiare frequenza, imparare ad adoperare altre parole, pensare una, due, tre volte a ciò che scrivi; rileggere il tutto per verificare che una lettera non abbia cambiato il senso di tutto. Non sono domande e risposte ma è un ragionare insieme, un ascoltare e ascoltarsi. Definirlo è impossibile. è noto come attore ma è scorretto “confinarlo” in un ruolo. Bergonzoni è di più. è veramente la somma degli incontri che ha avuto su un palco, in un carcere, in un ospedale, per la strada, in una terra lontana.
Non c’è parola più usata, in questo momento, che il sostantivo pace. Ma cos’è, chi è la pace?
La gente pensa sempre che la pace abbia a che fare con la guerra, ma tendenzialmente ha a che fare con l’uomo, con l’aggressività, con le armi, col potere, con la potenza. Quanta pace c’è tra un uomo e un altro? Tra un carceriere e un carcerato? Tra chi giudica e chi è giudicato? Mi interessa più la mancanza di pace che la pace come parola. Ho coniato uno slogan: la congiungivite, non la congiuntivite che è una malattia che colpisce l’occhio e lo fa lacrimare ma non piangere; la congiungivite può farti piangere e soprattutto ti fa vedere gli sfocati, tutto quello che la tua vita deve congiungere alle vite degli altri. è impossibile parlare di pace se sei un uomo che ha la sopraffazione sulla donna; se sei un legislatore che non ha mai visitato una galera; se non hai l’idea dell’altro quando si parla della disabilità o addirittura della malattia mentale. Sono stanco, stanco-vivo, ma stanco di sentire che i pacifisti sono ancora dei romantici, degli utopisti, dei fiori nei cannoni, dei sessantottini. Questo atteggiamento è quello che maltratta di più la pace, che la viola. …
