Dobbiamo tutti qualcosa ad Alan Turing

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Qualcuno ipotizzò che la mela, simbolo di Apple, fosse un omaggio ad Alan Turing, morto dopo aver morso una mela avvelenata. Suggestione smentita da Rob Janoff, inventore del celebre marchio. Peccato

Si chiamava Alan Turing. Un uomo al quale tutti dobbiamo qualcosa, al quale i britannici devono moltissimo, compreso un persistente senso di colpa. Londinese, nato il 23 giugno 1912, incompreso sin dall’infanzia, come capita a chi è portatore di una genialità applicata ad un campo specifico: numeri. Matematica, fisica, chimica. Con una passione precoce e stereofonica per la teoria della relatività e per gli scacchi. Lo capirono ben poco i primi insegnanti, lo accolse a Cambridge, poco più che adolescente, Ludwig Wittgenstein, padre riconosciuto della logica e della filosofia del linguaggio, la cui originalissima personalità vale un racconto a parte, la cui intelligenza è un picco altissimo nella storia del ‘900.
Turing, a Cambridge, si laurea con lode, va alla Princeton University, comincia ad elaborare quella che sarebbe diventata la macchina di Turing, un elaboratore per ogni modello di calcolo, fondamentale per la definizione di algoritmo. Siamo al 1938. Due anni più tardi viene chiamato dal governo del Regno Unito a dirigere il gruppo di teste fini impegnate a decifrare i codici usati dalle forze armate tedesche, a cominciare dal famigerato Enigma. Il luogo: Bletchley Park, 75 chilometri a nord di Londra, una tenuta trasformata in un bunker iperprotetto. Compito che Turing svolge con una brillantezza leggendaria, dando così il via ad una serie di mosse militari decisive per le sorti dell’Inghilterra nel secondo conflitto mondiale. In sostanza: salvatore della patria. Anonimo, ovviamente.
Dei suoi meriti, vietato parlarne. Anche dopo la fine della guerra. Massima segretezza su quanto accaduto a Bletchley Park. Lui, intanto, comincia ad elaborare un computer nel laboratorio nazionale di Fisica, corre maratone con risultati eccellenti, studia neurologia e fisiologia, pubblica un testo che ipotizza la creazione di una intelligenza artificiale seguendo gli schemi del cervello umano. Un’intuizione perseguita a lungo, convinto che quella fosse la strada per realizzare una macchina simile alla mente umana.
Abbastanza? Per nulla. Turing viene arrestato nel 1952, accusato di omosessualità, frettolosamente condannato. Gli propongono di scegliere tra la prigionia e la castrazione chimica. Non vuole essere rinchiuso, dunque, via alla seconda opzione. Gli vengono somministrati estrogeni in quantità tale da stravolgere il suo corpo e poi la sua mente perfetta. Umiliato e depresso, si suicida l’8 giugno 1954, mangiando una mela intrisa di cianuro.
Servirono molti anni, troppi, per le scuse ufficiali del governo britannico, datate 2009. Ne serviranno altri per debellare un’omofobia colpevole di continue atrocità. Intanto, non si attenua la pena che proviamo ancora oggi pensando alla violenza dell’ingratitudine, a quella luce accecata da una prevaricazione estrema. Una ottusità che resta in circolo, qui, ovunque, ora, ad alimentare ogni discriminazione.
Qualcuno ipotizzò che la mela, simbolo di Apple, fosse un omaggio ad Alan Turing, morto dopo aver morso una mela avvelenata. Suggestione smentita da Rob Janoff, inventore del celebre marchio. Peccato. Anche se noi possiamo continuare a pensarlo, a ripensare a Turing ogni volta che misuriamo una ignoranza larga, mentre apriamo un computer – di qualunque marca – mentre riflettiamo sulle nostre presunzioni, su ogni avventata, insulsa, mancanza di rispetto.

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