Il pianista di Medyka suona Yesterday la canzone del tempo perduto

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Yesterday è la canzone del tempo perduto, delle gioie date per scontate. Ma non lo erano. Certo non sono invisibili i profughi ucraini, per fortuna nella tragedia l’Ue e gli europei stanno offrendo una risposta inaspettata di solidarietà

C’è un pianoforte appena varcato il cancello verde che separa il posto di frontiera polacco di Medyka dall’Ucraina. E un pianista che suona Yesterday per accogliere mestamente i profughi. Si passa solo a piedi, un flusso ininterrotto di donne di tutte le età e di bambini, perché i maschi ucraini maggiorenni fino a 60 anni non possono lasciare il Paese. Alle spalle si sono lasciati tutto e si sono consumate separazioni dolorose tra famiglie, sperando che siano temporanee.
Dopo il cancello, si cammina su una stradina stretta dove ong e associazioni offrono ristoro prima di mettersi in fila e venire trasportati in un centro di accoglienza e di smistamento. In molti casi vengono a prenderli amici e parenti dalla Polonia o da altri Paesi dell’Unione. E appena a sinistra, sotto la tenda della missione evangelica, c’è il vecchio piano a coda nero con il simbolo universale della pace di Holtom disegnato sul coperchio. Perché Yesterday, canzone di un amore perduto, scritta quasi 60 anni fa? Il testo non parla solo di un amore finito. Pensate al verso più famoso: I believe in yesterday. Ora pensate a quello che avete. Poi pensate che all’improvviso tutto ciò non esista più: la casa, la famiglia, il lavoro, gli amici, gli impegni quotidiani. Tutto ciò che diamo per scontato, cancellato da una guerra improvvisa che sembrava impossibile nel 2022. Yesterday è la canzone del tempo perduto, delle gioie date per scontate. Ma non lo erano. Certo non sono invisibili i profughi ucraini, per fortuna nella tragedia l’Ue e gli europei stanno offrendo una risposta inaspettata di solidarietà. Fino a pochi mesi fa la stessa Polonia, l’Ungheria, i Paesi dell’est sembravano sul punto di uscire dall’Unione della quale non condividevano i valori fondanti. Primi fra tutti la solidarietà e l’accoglienza dei rifugiati. Oggi, la guerra alle porte di casa, ha almeno ricordato agli europei quello che ciascun Paese ha sofferto nel secolo scorso, mentre ai Paesi orientali con tendenze autocratiche ha ricordato probabilmente il valore della democrazia. Yesterday ci fa pensare che l’accoglienza data giustamente agli ucraini stride con l’accoglienza negata alle vittime di altre guerre lontane dimenticate, nascoste o ignorate. Il conflitto in Siria, quello in Etiopia o nello Yemen, la guerra contro i curdi nei quattro Stati mediorientali dove vivono o il terrorismo islamico nel Sahel hanno provocato decine di migliaia di morti mai filmati o raccontati. E gli effetti di quelle guerre, ovvero gli assedi con blocco di aiuti umanitari, la distruzione di strutture sanitarie e scuole, la carestia hanno cancellato intere generazioni che non hanno mai vissuto un tempo felice e spensierato. Sono profughi, rifugiati in fuga da guerre come quella che abbiamo visto in diretta alle porte di casa. Li ritroviamo sulle rotte desertiche del Sudan e del Sahel, in viaggio verso la Libia e la Tunisia, nelle mani dei trafficanti pagati migliaia di dollari. Gli stessi che, indossata la divisa da poliziotto, prendono i soldi dall’Ue per rinchiuderli nelle galere libiche chiedendo ulteriori riscatti alle famiglie. Li ritroviamo sulla rotta balcanica a sfuggire alle guardie croate o nella lunga foresta tra Bielorussia e Polonia, dove le guardie non sono così accoglienti con chi ha tratti mediorientali. E sulle strade verso Oulx e Ventimiglia, dove cercano di aggirare i doganieri francesi. La guerra ci chiede di aprire gli occhi e trattare tutti allo stesso modo. E se qualcuno ripete il nuovo slogan per cui africani, asiatici e mediorientali non sono profughi perché non fuggono da guerre vere, è giusto che tre cose si sappiano. La prima è che nell’Ue, i cui valori di libertà sentiamo minacciati apertamente, una persona ha diritto di essere salvata se in pericolo e di chiedere asilo, e la domanda va valutata da giudici ed esperti indipendenti, non da politici. La seconda è che questi politici, anche nostrani, sono in genere amici di Vladimir Putin, che non hanno mai ascoltato davvero Yesterday. 

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