Intelligenza artificiale. Manca la riflessione sulle conseguenze sociali

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Siamo a un bivio della storia e dobbiamo chiederci che ripercussioni avrà l’intelligenza artificiale su un mondo del lavoro che vede i salari dei lavori meno qualificati contrarsi inesorabilmente e le tutele diminuire

In apparenza niente da dire. Se chiedi a ChatGPT, cioè all’intelligenza artificiale, di definire gli homeless, ne esce una spiegazione precisa e articolata, politicamente corretta, compreso l’invito alla solidarietà e al non avere pregiudizi, ad avere un atteggiamento empatico e a rivolgerti a istituzioni pubbliche e private per aiutare chi vive in strada (nel frattempo la prima settimana del ’24 è cominciata con la morte di 12 invisibili).
Articolata anche la spiegazione delle cause che portano la gente alla povertà estrema, comprese le malattie di natura mentale, le dipendenze varie, la disoccupazione e la difficoltà a trovare un’occupazione adeguata perché si è in possesso di titoli di studio di basso livello o fuori mercato e poi il problema di trovare un’abitazione, sempre più raramente, specialmente in Italia, a prezzi accessibili. La riflessione che porta in modo prepotente questo nuovo anno è, però, il ruolo che giocherà l’intelligenza artificiale nella nostra società nel far aumentare il numero degli invisibili. In soldoni, siamo a un bivio della storia e dobbiamo chiederci che ripercussioni avrà l’intelligenza artificiale su un mondo del lavoro che vede i salari meno qualificati contrarsi inesorabilmente e le tutele diminuire. Solo in Italia, abbiamo oggi quasi un milione e mezzo di lavoratori che guadagnano meno di otto euro all’ora. Senza contare tutti quelli che invece sono costretti a lavorare in nero a 4-5 euro ad esempio nell’agricoltura, nei cantieri, nella logistica, nella ristorazione. Grazie ai lavoratori poveri, l’Italia ha messo un segno più nelle statistiche sull’occupazione e sulla ripresa economica, ma a questo non ha poi corrisposto un innalzamento della qualità della vita e del reddito. In sostanza, dice Banca d’Italia, il 5% delle persone detiene la maggior parte della ricchezza e agli altri restano le briciole.
Quello che si comincia a intravvedere dagli algoritmi non è incoraggiante. Si pensa di poterli utilizzare in sostituzione ad esempio dei lavori intellettuali. Negli Stati Uniti ha fatto scalpore lo sciopero dell’industria del cinema, non della manovalanza, bensì di chi scrive i copioni e le sceneggiature. Il sogno degli editori è di sostituire i giornalisti con chat bot e tutto ciò avrà indubbiamente un grosso impatto sulla qualità dell’informazione e sulla democrazia. Altri settori come il terziario muteranno profondamente con le applicazioni dell’intelligenza artificiale.
Ma all’entusiasmo rivoluzionario per i progressi infiniti delle macchine in questo terzo decennio del secolo manca il contrappeso di una riflessione seria sulle conseguenze sociali. Si sente ripetere che bisogna ripensare il nostro rapporto con il lavoro e con il welfare per evitare che ci siano persone messe sempre più ai margini mentre un piccolo numero di fortunati vincitori si spartisce il grosso della torta. Ma partendo dall’assunto che indietro non si torna, nessuno sa bene dove stiamo andando, cioè quanti vincitori e vinti ci saranno. Era questo il senso del messaggio della giornata della Pace dedicato all’intelligenza artificiale e delle continue sottolineature che ha fatto Papa Francesco, grande osservatore della società non solo occidentale, ma globale. Perché quello che può essere utilizzato per semplificare e migliorare la nostra vita velocizzando le procedure e consentendoci anche di cambiare la qualità del nostro lavoro può diventare uno strumento di conflitto non solo bellico.
Occorre limitare la logica del profitto e reintrodurre il concetto del bene comune nella guida all’uso di questo strumento. In altre parole fermiamoci a riflettere e rilanciamo due parole dimenticate come solidarietà ed etica, altrimenti la pace e la democrazia saranno ancor di più a rischio anche nella nostra Europa.

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