La giostra insensata ricomincia da via Bolla?

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Nella Milano impegnata a lucidare la propria fama da capitale mondiale del design, scoppia la guerriglia urbana. Scenario, una “stecca” di palazzoni di alloggi popolari sfitti, occupati soprattutto da Rom. Deprecabile: imprevedibile? Tutt’altro, da tempo era noto l’aumento di occupazioni. Illegali, certo. Ma anche esito di insufficienti politiche dell’abitare urbano

Battaglia alle case popolari. Sassaiola nel ghetto. Guerriglia urbana nella periferia maledetta. Stampa, tv e social ci vanno a nozze, con notizie del genere, e – sia pur con benemerite eccezioni – popolano volentieri pagine, palinsesti e post con cronache da far west urbano, grondanti pathos allarmistico, avare di spiegazioni esaurienti. È successo nella prima metà di giugno anche a proposito dei fatti di via Bolla, quartiere Gallaratese, torbida sacca della Milano impegnata, nei medesimi giorni, a lustrarsi la fama da capitale mondiale del design. La maxirissa sviluppatasi per alcune ore tra i palazzoni delle case popolari – protagonisti alcuni degli occupanti abusivi, per lo più Rom, di una delle “stecche”, e sul versante opposto inquilini legittimi, italiani e stranieri, di un edificio attiguo –, non ha però costituito una sorpresa per chi lavora nel quartiere da tempo.
Già in un documento del 2020, Caritas Ambrosiana aveva per esempio spiegato che da almeno due anni si poteva osservare, soprattutto tra i Rom in arrivo dalla Romania, la tendenza a occupare appartamenti sfitti nelle case popolari, spesso in condomini degradati. Le occupazioni sono molto aumentate, per motivi facilmente intuibili, nel periodo del confinamento causa Covid. Ma in generale coloro che occupano – tra essi i Rom –, lo fanno per un motivo semplice: cercano di migliorare la qualità della propria vita. In un alloggio popolare sfitto si dispone di acqua, luce e riscaldamento in maniera più stabile che in una baraccopoli; si è meno soggetti a intemperie e mutamenti del clima; si è meno esposti a quanto accade nelle strade e ai ripetuti sgomberi.
Facile prevederlo
Tutto ciò è evidente in via Bolla. Dove gli indubbi progressi compiuti da singole famiglie occupanti (anche riguardo alla possibilità di lavorare e frequentare la scuola) non si sono però tradotti in un generalizzato processo di inclusione sociale. Il grande assente di questi intricati scenari urbani, in effetti, continua a essere la politica.
L’esclusione dall’accesso alla casa, a causa di leggi sulla residenzialità inadeguate, di procedure burocratiche scoraggianti, di investimenti nell’edilizia pubblica insufficienti, non può essere infatti risolta da un mercato privato sempre più proibitivo. L’occupazione appare quindi come la conclusione inevitabile, ancorché oggettivamente illegale, di uno scenario di “scarico” di responsabilità politiche, che condanna interi ceti sociali alla precarietà abitativa e dunque esistenziale, e la collettività a fare i conti con fenomeni criminali, di disagio e di degrado urbano, irrisolvibili agendo sulla sola leva della repressione.
Cosa accadrà ora in via Bolla? Facile prevederlo: misura di ordine pubblico. Doverosamente finalizzata al ripristino della legalità. Ma se ci si limiterà allo sgombero estivo, senza aprire percorsi alternativi di inserimento abitativo e accompagnamento sociale, si rischia di disperdere le famiglie degli occupanti, anche quelle disponibili a un serio cammino di inserimento sociale – e ce ne sono, e lo stanno dimostrando –, in nuove, ancor più problematiche occupazioni. Destinate a non fare notizia, sino a quando un altro quartiere andrà in ebollizione. È una giostra insensata: che solo coraggiose, inclusive e rigorose politiche dell’abitare urbano possono provare a fermare.

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