Immigrazione. Che sembra mancare è il senso della realtà

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L’impressione è che si voglia demolire scientificamente con i decreti, con i regolamenti e con la prassi il sistema di aiuto in mare, di accoglienza in terra e di integrazione

Il decimo anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 ha rivelato – sono parole dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni – che l’emergenza nelle acque del Mediterraneo centrale è senza dubbio umanitaria, anche per le decine di migliaia di vittime annegate negli ultimi vent’anni. Ma – dice ancora l’Oim – l’emergenza sull’isola è “provocata”. Rispetto a dieci anni fa, le persone soccorse in mare anche dalle ong, per una minima parte vengono portate su questo scoglio di 20 km quadrati: si fa presto a parlare di emergenza e a rilanciarla mediaticamente.
Anche a Trieste, porta di accesso della rotta balcanica in Italia, da un anno circa si parla di emergenza con persone che dormono in strada – in media 500 ogni giorno – anche se hanno un appuntamento già fissato in questura per presentare la domanda di asilo e sono costrette a dormire in strada perché l’accoglienza è intasata. Guardando da vicino la situazione degli invisibili in arrivo dalla rotta balcanica – a me è capitato il 17 di ottobre, giornata mondiale di lotta alla povertà in cui si organizzano in diverse città le notti con i senza dimora come gesto di solidarietà con chi dorme all’addiaccio – nel capoluogo giuliano viene più di un dubbio che si tratti di un’emergenza, appunto, provocata con la regia governativa. Perché se le istituzioni pubbliche non trasferiscono le persone in accoglienza, gli ingressi continuano ad assommarsi e un terzo circa di coloro che hanno presentato la domanda sono costretti a dormire fuori o nell’immenso silos diroccato accanto alla stazione in accampamenti improvvisati e tollerati. Il resto si muove dopo 24 ore al massimo verso Nord, verso la Germania dove dopo due anni di training linguistico e professionale in accoglienza si trova lavoro. Afgani e curdi, le cui comunità in Germania vantano già centinaia di migliaia di rifugiati e si stanno inserendo.
Tutta un’altra storia rispetto al sistema italiano. Eppure un terzo di questi rifugiati di passaggio a Trieste sono laureati e il resto ha diplomi o esperienze professionali utili per il nostro mercato del lavoro in deficit di manodopera. Eppure li rendiamo invisibili non riconoscendo i loro titoli, che in caso di flusso regolare in entrata hanno invece valore. Una schizofrenia segno di una mancanza di senso della realtà, con la convinzione ostinata e ottusa che i flussi si possano fermare e non vadano invece governati con buon senso. Perché tutto è connesso, i muri sono inutili.
Lo fa capire la notte dei senza dimora improvvisata a Trieste davanti alla stazione in Piazza Libertà, la piazza del mondo, dove c’erano solo i volontari a sfamare, a curare, a distribuire giacconi e coperte a un popolo della strada che viene da lontano. L’impressione è che si voglia demolire scientificamente con i decreti, con i regolamenti e con la prassi il sistema di aiuto in mare, di accoglienza in terra e di integrazione. Certamente problemi di integrazione ci sono stati e ci saranno, però è l’unica strada che si possa percorrere per salvare economie che invecchiano rapidamente. Il pensiero degli ultimi che stanno sulle strade anche solo di passaggio non può far dimenticare le storie e i drammi dei minori non accompagnati il cui numero sta crescendo inesorabilmente. Dovremmo raccontarle di più le loro storie, come una volta si raccontavano le vicende commoventi dei bambini che andavamo dagli Appennini alle Ande.
Cambiano i luoghi, ma non il copione, la sofferenza e l’indifferenza sono le stesse di cent’anni fa.

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